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sabato 28 luglio 2018

Siria, Assad inizia a fornire i nomi dei primi 400 "desaparecidos" che Amnesty stima siano 82.000

Corriere della Sera
Le liste dei deceduti affisse al governo contano 400 nomi ma le persone scomparse e uccise secondo Amnesty International sarebbero almeno 82 mila. 


Il certificato di morte porta la data 15 gennaio 2013, per cinque anni i famigliari hanno continuato a sperare senza sapere che non avesse più senso. L'hanno scoperto solo pochi giorni fa, quando la burocrazia del regime siriano ha sancito che quel ricordo di Islam Dabbas - con la felpa rossa e la scritta "libertà e basta" - sarebbe stato l'ultimo da conservare. 

Islam è finito nel buco nero della prigione di Sednaya, che inghiotte gli oppositori in una tradizione della repressione passata di padre in figlio, da Hafez a Bashar: i tre edifici sono stati costruiti dal capostipite della dinastia Assad e affidati ai servizi segreti dell'esercito. Incarcerato assieme agli altri che hanno partecipato nella primavera del 2011 alle prime manifestazioni pacifiche per chiedere le riforme. Amnesty International calcola che in queste celle siano stati ammazzati in 13 mila.

Considerati scomparsi: il clan al potere si è rifiutato di fornire notizie alle famiglie, molti non hanno neppure potuto sapere se i fratelli, i padri, le sorelle, le madri fossero stati arrestati e dove fossero detenuti, i "desaparecidos" siriani stima sempre Amnesty sono almeno 82 mila. 

Adesso il governo comincia ad ammettere che non torneranno - le liste dei deceduti affisse nelle città contano già 400 nomi - perché Bashar Assad si sente forte, non teme le proteste, la rivolta dei parenti. 

Le bugie e il silenzio sono serviti a tenerli ostaggio della speranza. Non ce n'è più bisogno. 

Con l'appoggio di russi e iraniani il presidente ha riconquistato i centri principali del Paese, invita i rifugiati a tornare. Non si sa con quali garanzie per gli oppositori, viste le sue minacce ai Caschi Bianchi, i gruppi di soccorso locali che hanno cercato di frenare la distruzione causata dai suoi bombardamenti: "Li liquideremo". 

L'obiettivo è ora riprendersi la provincia di Idlib, verso il confine con la Turchia, rimasta sotto il controllo dei rivoltosi. Un'operazione che - avvertono le organizzazioni per i diritti umani - rischia di essere ancora più devastante per i civili degli assedi negli scorsi mesi.Davide Frattini

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