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sabato 19 maggio 2018

Consiglio Diritti Umani ONU: subito inchiesta su strage a Gaza

Nema News
La risoluzione, contro la quale hanno votato solo Usa e Australia, è stata respinta da Israele. Anche l’Organizzazione della conferenza islamica condanna Washington e Tel Aviv. Ieri proteste meno intense al venerdì della Marcia del Ritorno, forse per una intesa tra Hamas ed Egitto


Il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ieri ha dato via libera a una ‎commissione d’inchiesta chiamata ad indagare sulle uccisioni di oltre cento ‎palestinesi compiute dal 30 marzo dall’esercito israeliano sulle linee tra Gaza e ‎Israele e sulle violazioni dei diritti umani nei Territori occupati. 

Ad approvarla sono ‎stati 29 dei 47 Paesi membri. Scontato il voto contrario degli Stati uniti così come ‎quello dell’Australia uno dei Paesi più allineati alla politica di Washington in Medio ‎oriente. Quattordici le astensioni, due Paesi erano assenti al momento del voto. ‎Rabbiosa la reazione di Israele. ‎«Nulla di nuovo sotto il sole. L’organismo che si ‎autodefinisce Consiglio dei diritti umani ha di nuovo dato prova di sè come ‎organizzazione ipocrita e deplorevole il cui unico obiettivo è attaccare Israele e ‎sostenere il terrorismo», ha commentato Benyamin Netanyahu. Il voto è giunto ‎mentre alcune migliaia di palestinesi hanno di nuovo raggiunto le linee di ‎demarcazione con Israele per il “Venerdì dei martiri” della Grande Marcia del ‎Ritorno. Le proteste sono state meno intense e partecipate del solito, in ogni caso ‎ieri sera si parlava di alcune decine di palestinesi feriti dai proieittili e dai ‎lacrimogeni sparati dai soldati israeliani.‎

‎È dura l’accusa lanciata ieri dall’Alto commissario per i diritti umani, Zeid Raad ‎al Hussein, in apertura della sessione del Consiglio. Israele ha ‎«ingabbiato 1,9 ‎milioni di abitanti nella Striscia di Gaza in una baraccopoli tossica dalla nascita alla ‎morte‎», ha denunciato. L’inviata israeliana a Ginevra, Aviva Raz Shechter, ha ‎replicato accusando i Paesi membri di voler ‎«potenziare Hamas e premiare la sua ‎strategia terroristica‎». Secondo la diplomatica, Israele avrebbe addirittura fatto ‎«uno ‎sforzo reale per evitare le vittime tra i civili palestinesi‎».

Due giorni fa il ministro ‎della difesa Lieberman, anticipando il voto a Ginevra, aveva chiesto l’uscita del suo ‎Paese dal Consiglio Onu – dimenticando che Israele non ne fa parte – e sollecitato ‎gli Stati uniti a fare altrettanto, come è avvenuto con l’Unesco. Una condanna ‎esplicita di Israele e Usa, per i morti di Gaza e per il trasferismento dell’ambasciata ‎Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, è stata pronunciata anche a Istanbul dove ieri si è ‎svolta una riunione straordinaria dei 57 Paesi dell’Organizzazione per la ‎cooperazione islamica (Oci) convocata dal presidente turco Erdogan che nel suo ‎discorso ha detto che ‎«Gerusalemme non può essere lasciata nelle mani sporche di ‎sangue dello Stato terrorista di Israele». L’Oci ed Erdogan, almeno nei toni, sono ‎stati più duri della Lega araba che due giorni fa al Cairo ha condannato la decisione ‎degli Usa di spostare l’ambasciata a Gerusalemme ma non ha accolto la richiesta ‎palestinese per il richiamo in patria degli ambasciatori arabi a Washington.

‎I limitati “successi” diplomatici ottenuti dai palestinesi non bloccano la Marcia ‎del Ritorno. Si fanno però insistenti le voci di un accordo non scritto tra Hamas e ‎l’Egitto per affievolire le proteste lungo le barriere con Israele, malgrado il leader ‎del movimento islamico, Ismail Haniyeh, abbia smentito qualsiasi intesa con il ‎Cairo e promesso che le manifestazioni continueranno. ‎«Andremo tutti, e io prima ‎di voi, al confine di Gaza. Le marce non si fermeranno sino a quando l’assedio non ‎sarà completamente rimoss‎o», ha proclamato ieri durante un sermone.

Gli abitanti ‎di Gaza comunque hanno compreso che l’improvvisa generosità del presidente ‎egiziano Abdel Fattah al-Sisi, che terrà aperto per tutto il mese del Ramadan il ‎valico di Rafah tra Gaza e l’Egitto – l’anno scorso in totale è rimasto aperto solo ‎per 35 giorni – è una contropartita per l’ammorbidimento delle proteste. Ne scriveva ‎ieri anche il sempre ben informato giornale libanese al Akhbar, secondo il quale ‎l’accordo prevede il divieto di sfondare la barriera di separazione e di azioni armate, ‎in cambio di aiuti umanitari. Hamas, aggiungeva al Akhbar, avrebbe accettato di far ‎partecipare alle manifestazioni un numero minore di persone e di diminuire i punti ‎di maggior frizione con i soldati israeliani. L’Egitto da parte sua si impegnerà per ‎ottenere uno scambio di prigionieri tra Israele e Hamas. ‎

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