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venerdì 17 agosto 2018

La vera emergenza siamo noi, italiani impauriti, razzisti e cattivi

Linkiesta
L’aggressione a Daisy Osakue e la scia di violenze delle scorse settimane non sono un fulmine a ciel sereno. Già nel 2015, Pew Research diceva che eravamo il Paese più razzista d’Europa. Nessuno ha spento l’incendio, e ora c’è chi approfitta delle fiamme per prendersi il Paese.


Ricapitoliamo: non c’è un’emergenza sbarchi, che sono diminuiti dell’85% nel giro di dodici mesi, al prezzo della nostra indifferenza su quanto accade in Libia, a chi non parte più. Non c’è un’emergenza criminalità, visto che i reati sono in calo pure loro. Non c’è nemmeno un’emergenza sicurezza, o degrado, visto che da noi non ci sono banlieue e non ci sono giovani stranieri che mettono a ferro e fuoco le periferie bruciando automobili e spaccando vetrine, com’è successo in Francia o a Londra, per esternare la loro rabbia e la loro anomia. E non c’è nemmeno un’emergenza terrorismo, né un’emergenza radicalizzazione, visto che siamo l’unico grande Paese dell’Europa occidentale a non aver subito mezzo attentato terroristico nel giro degli ultimi quindici anni.

Se volete, semmai, c’è un emergenza crescita, ché siamo l’unico Paese europeo che non è mai andato oltre il 2%, nel Terzo Millennio. E c’è un emergenza debito pubblico, il più alto d’Europa, Grecia esclusa. E c’è un’emergenza disoccupazione, stabilmente oltre il 10%. E pure un’emergenza giovani, con la percentuale di Neet che non studiano né lavorano più alta d’Europa. E un’emergenza donne, sotto impiegate e sotto pagate come da nessun altra parte nel continente. E un’emergenza demografica, coi nostri 1,37 figli per coppia che addensano ancora più nubi sul nostro futuro, se possibile.

In tutti questi nostri guai, che c’entrano gli stranieri? Che c’entra Daisy Osakue, giovane atleta di 19 anni che gareggia con la maglia azzurra e la bandiera italiana, bersaglio di un uovo lanciato da un auto in corsa? Che c’entra Konate, maliano, in Italia da quattro anni con regolare permesso di soggiorno, colpito a Napoli da un piombino nella pancia sparato da due ragazzi a bordo di un’auto? Che c’entra il ragazzo senegalese di 19 anni, richiedente asilo, aggredito da quattro persone a Partitico, in Sicilia? Che c’entra il marocchino morto dopo essere stato inseguito in auto da due persone convinte che fosse un ladro, ad Aprilia? C’è c’entra il richiedente asilo guineano colpito in pieno volto con una pistola ad aria compressa? Che c’entra la bambina rom di un anno, ferita alla schiena da un piombino sparato con un fucile, da un balcone? Che c’entrano i due ragazzi immigrati del Mali sono aggrediti e feriti da quattro ragazzi al grido di “Salvini Salvini”?
Nulla, ve lo diciamo noi. Non c’entrano nulla con le emergenze di questo Paese. Non rubano nessun lavoro. Non sono il motivo per cui non facciamo figli. Non gravano sul nostro debito pubblico. Non rallentano la nostra crescita. Non minacciano in alcun modo la nostra sicurezza sociale. Zero. 

Sono solo bersagli facili, capri espiatori, ricettacoli di rabbia repressa, che oggi forse trovano legittimazione nei toni e nell’acquiescenza del ministro dell’interno, che è più facile che Fonzie chieda scusa di Salvini che dice “razzismo”. Ma che sono figli di una lunga deriva di episodi, colpevolmente tumulati sotto sei piedi di luoghi comuni alla “italiani brava gente”.

No, non siamo brava gente. Siamo quelli il Paese in cui solo pochi mesi fa, il 28 ottobre scorso, a Torino, è stato bruciato vivo un clochard rumeno. In cui una gang di ragazzi romani under 20 ha pestato a sangue un bengalese e un egiziano. In cui è stato dato fuoco al centro d’accoglienza per migranti di Bagnoli di Sopra, Padova. In cui l'8 ottobre, a Portogruaro, otto ragazzi hanno pestato tre ragazzi richiedenti asilo, di cui uno minorenne. In cui a Bari, lo stesso giorno, una donna nigeriana di 27 anni è stata spinta giù dall’autobus, faccia sull’asfalto, da un sessantenne italiano, che le avrebbe urlato “tu non puoi stare qui”. Ottobre. Salvini era ancora all’opposizione, se non ricordiamo male. Ed è del 2015, ben prima della “grande invasione” dei richiedenti asilo dalla Libia, un report di Pew Research che ci dice che siamo il Paese più razzista d’Europa, primi in Europa per odio contro i rom, i musulmani e gli ebrei.

Forse dovremmo biasimare noi stessi per non aver capito la malattia che ci stava consumando, e che ancora oggi non comprendiamo, dando ogni colpa al titolare del Viminale, come se fosse lui ad averla scatenata e non invece il più scaltro e spregiudicato dei politici, che la sta cavalcando. 

Forse dovremmo chiederci perché non abbiamo una legge sull’integrazione, come quella che c’è in Germania. Forse dovremmo chiederci perché la gestione dei richiedenti asilo, sui territori, funziona così male, perché la grande periferia di questo Paese, la provincia, è stata abbandonata a se stessa in questi anni di crisi, perché non ci sono programmi scolastici adeguatamente finanziati per educare all’integrazione, perché non abbiamo compreso e continuiamo a non comprendere che senza un’azione seria di rammendo del tessuto sociale di questo Paese sarà sempre peggio. 
Forse dovremmo cominciare a dirci che la vera emergenza, la vera minaccia all’ordine pubblico, la vera bomba sociale pronta ad esplodere, qui in Italia, siamo proprio noi italiani. Che siamo noi, bianchi e ben vestiti, quelli di cui avere paura.
Francesco Cancellato

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