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domenica 21 maggio 2017

Sud Sudan, in Uganda più di 900.000 rifugiati in fuga dalla guerra. Grave emergenza.

La Repubblica
Il report di Medici Senza Frontiere. Il governo di Kampala accoglie più rifugiati rispetto a quanti l’intera Europa abbia concesso loro asilo nel 2016. I campi profughi sono al collasso. In fuga da una guerra civile sanguinosissima


Profughi sud-sudanesi diretti in Uganda (AP Photo/Rebecca Vassie/file)
Juba – L’alto afflusso di rifugiati sud sudanesi sta progressivamente mettendo a dura prova la capacità di risposta del governo ugandese e spingendo al collasso i luoghi di accoglienza. Sono centinaia di migliaia di rifugiati scappati nel nord dell’Uganda dal luglio 2016, a seguito del riaccendersi delle violenze in Sud Sudan. 

Da allora, più di 630.000 rifugiati sono arrivati in Uganda e in migliaia continuano ad arrivare ogni settimana, e il numero dei rifugiati e richiedenti asilo è salito a più di 900.000. Oggi l’Uganda ospita più rifugiati di ogni altro Paese africano, e accoglie più rifugiati rispetto a quanti l’Europa abbia concesso asilo nel 2016. Secondo Medici Senza Frontiere (MSF) l’attuale mobilitazione umanitaria su larga scala, in risposta all’emergenza, imposta da una guerra civile sanguinosissima, non è ancora adeguata e molte persone non hanno accesso sufficiente ad acqua, cibo e ripari. In molti casi, i nuovi arrivati sono costretti a dormire sotto gli alberi, e i ritardi nelle distribuzioni di cibo e la carenza di acqua potabile hanno spinto molte persone a tornare in Sud Sudan.

Donne e bambini esposti ad ogni sorta di violenze. “Le persone che arrivano sono relativamente in buona salute, ma hanno alle spalle storie di violenza tremende subite nei luoghi di origine o durante il viaggio”, afferma Jean-Luc Anglade, capo missione di MSF in Uganda. Nonostante più dell’85% dei rifugiati siano donne e bambini, esposti a violenze e abusi, sono davvero poche le organizzazioni che rispondono ai loro specifici bisogni di protezione. “Il flusso di rifugiati non accenna a ridursi, per questo urgono sforzi significativi di lungo termine per assistere le persone nei prossimi mesi, se non anni”.

MSF in quattro campi per rifugiati. Oltre ai progetti in Sud Sudan, dal luglio 2016 MSF opera in quattro campi rifugiati nel nord ovest dell’Uganda, Bidi Bidi, Imvepi, Palorinya e Rhino attraverso la fornitura di cure mediche ospedaliere e ambulatoriali, materno-infantili, nutrizionali, sorveglianza epidemiologica e igiene e potabilizzazione dell’acqua. MSF ha anche risposto all’afflusso a Lamwo, al confine con il Sud Sudan a seguito di un attacco a Pajok, in Equatoria orientale, ma ha poi trasferito queste attività ad altre organizzazioni.

La sfida dell'accesso all'acqua. L’accesso all’acqua è una delle sfide più grandi nei campi rifugiati, per questo MSF ha incrementato il proprio supporto: a Palorinya, MSF fornisce circa 2 milioni di litri di acqua al giorno a più di 100.000 persone. Nel solo mese di aprile, MSF ha fornito 52.519.000 litri di acqua pulita a Palorinya. “Vi sono un’infinità di sfide e difficoltà”, racconta Casey O’Connor, coordinatore dei progetti di MSF a Palorinya. “Possiamo fornire milioni di litri d’acqua al giorno ma tutti devono essere trasportati in cisterne d’acqua nei campi rifugiati grandi anche 150-250 chilometri quadrati. Con le forti piogge, molte strade diventano impraticabili.

Il ricorso all'acqua sporca. Ciò lascia decine di migliaia di persone senza acqua per giorni. Nella stagione delle piogge, se le persone non dispongono di acqua pulita, sono costrette a usare acqua sporca, vettore di malattie. Questo può drasticamente cambiare lo stato di salute della popolazione nel giro di pochi giorni”. Oltre a dare risposta all’afflusso di rifugiati, MSF gestisce regolarmente in Uganda programmi per la salute riproduttiva agli adolescenti a Kasese, cure per l’HIV/AIDS alle comunità di pescatori dei laghi George e Edward, e servizi per la carica virale nell’ospedale di Arua.

Testimonianze. “Ti massacrano, indipendentemente se sei uomo, donna, bambino. Ho perso tutta la mia famiglia. La vita è davvero difficile. Se sei sola, nessuno ti aiuta”. Maria (nome di fantasia) è solo una delle centinaia di migliaia di rifugiati scappati. “Di notte non riesco a dormire perché non so cosa accadrà a me e ai miei figli”, racconta Nola Aniba Tito, 27 anni, è una delle interpreti che lavorano nel centro sanitario di MSF nell’area Ofua 3, all’interno del campo rifugiati Rhino. Originaria di una città della regione di Equatoria, a luglio 2016 è fuggita con i suoi figli dalle violenze in Sud Sudan e ha cominciato a lavorare con MSF a marzo 2017. Dato che l'86% di tutti i rifugiati sud-sudanesi in Uganda sono donne e bambini, Nola è una delle tante capofamiglia donne.

I matrimoni forzati. “Vivevo con i miei due figli e aspettavo un altro bambino. Mio marito era a Juba. Nel mio quartiere, tutti stavano fuggendo perché ormai rapimenti di minori, stupri, saccheggi, matrimoni forzati e uccisioni tra le tribù erano all’ordine del giorno. Le scuole sono state attaccate e i bambini sono stati macellati come polli. Inoltre, non c'era accesso all'assistenza sanitaria, soprattutto dopo che molte ONG hanno lasciato il Paese. Un giorno, alcuni uomini hanno bussato alla nostra porta minacciando di aprirla. Ero molto spaventata e non ho aperto, ma mi sono avvicinata con cautela alla finestra e ho visto che avevano delle armi. Ho pianto e ho gridato così tanto che i vicini sono intervenuti e gli uomini sono andati via. In quel momento ho deciso di lasciare subito la mia casa, senza portare nulla, con i miei figli e tre figli di mio fratello, che non poteva venire. Anche lungo la strada per l'Uganda, vi sono violenze e uccisioni, per questo mio fratello è ancora in Sud Sudan".

Molti tentati suicidi che spesso riescono. "Gli uomini spesso bevono, fumano e diventano violenti perché non hanno nulla da fare, non c’è lavoro, acqua o cibo a sufficienza. Conosco una ragazza di 15 anni - conclude Nola Aniba - che è stata violentata all’interno del campo e ha contratto l'HIV e l'epatite B. Alcune persone tentano persino il suicidio insieme a tutta la famiglia, perché preferiscono morire piuttosto che vivere in una situazione così disumana o tornare in Sud Sudan. Sono anche molto preoccupata per il futuro dei miei figli. Se non avranno modo di andare a scuola, cosa faranno da grandi? Se MSF dovesse andar via e io perdessi il lavoro, di che vivrebbe la mia famiglia?”

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