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venerdì 21 aprile 2017

8.500 migranti salvati nel Mediterraneo "per l’Europa soccorrere sembra essere diventato reato"

Redattore Sociale
Nell’ultima settimana circa 8.500 migranti soccorsi e salvati da navi nel Mediterraneo. Dall'inizio dell'anno hanno già perso la vita o risultano scomparse 878 persone. Centro Astalli: “Suscita allarme l’indifferenza di un’Europa sempre più chiusa e xenofoba”. Padre Zerai: "I flussi non si fermano con muri e chiusure"




Roma - Nell’ultima settimana sono stati circa 8.500 i migranti soccorsi e salvati in mare da navi di ong internazionali attive nel Mediterraneo. Secondo stime ufficiali, nel 2017 sono sbarcati finora in Italia più di 4.500 minori di cui quasi 4 mila non accompagnati. Dall'inizio dell'anno, hanno già perso la vita o risultano scomparse nel Mediterraneo centrale 878 persone.
Ecco descritti in poche righe gli effetti, purtroppo solo parziali, di politiche migratorie miopi e sbagliate, di accordi con Paesi Terzi che violano sistematicamente convenzioni internazionali e diritti umani”, sottolinea padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli.
Centro Astalli che esprime “profondo cordoglio” per le vittime innocenti degli ultimi naufragi e “seria preoccupazione per le condizioni in cui stanno giungendo i migranti sopravvissuti a torture e violenze che riportano di aver subito durante il viaggio o la detenzione in Libia”. “Al contempo – continua l’associazione - suscita allarme l’indifferenza e la cecità di un’Europa sempre più chiusa e xenofoba dove atti minimi di civiltà, come soccorrere e offrire acqua e cibo, vengono sempre più spesso definiti reati”.

Il Centro Astalli chiede a governi nazionali e istituzioni comunitarie di: mettere al centro di ogni politica migratoria la solidarietà e il pieno rispetto dei diritti umani. “È urgente attivare canali umanitari d’ingresso in Europa e rafforzare le operazioni di salvataggio in mare finché non si troverà un’alternativa efficace al traffico dei migranti”; chiede inoltre di “non fare accordi con Paesi terzi che non assicurano l’effettivo rispetto dei diritti umani fondamentali dei migranti e dei cittadini europei: basti pensare al caso di Gabriele del Grande che, come altri 118 giornalisti turchi, è in stato di fermo in Turchia”. Infine, chiede di “attivarsi immediatamente per un contributo serio e fattivo volto alla cessazione delle principali crisi umanitarie nel mondo, causa di molti dei flussi migratori che oggi investono l’Europa come la Siria, il Congo e la Nigeria”.

Padre Zerai: “I flussi non si fermano con muri e chiusure”. "I flussi non si fermeranno per cui la risposta non è repressione, muri, chiusure e fili spinati. Quello che l'Europa non vuole capire è che bisogna andare alla radice del problema: laddove ci sono conflitti, ingiustizie, violazioni di diritti è necessario risanare". A parlare, in una intervista al Sir, è padre Mussie Zerai, presidente dell'agenzia Habeshia. Padre Zerai è anche tra i promotori di “Alarm phone”, una sorta di centralino telefonico, con sede in Germania, che lo aiuta a gestire tutte le telefonate che arrivano dalle imbarcazioni sul Mediterraneo, grazie ad una trentina di volontari che parlano le diverse lingue dei migranti. I volontari, sparsi in diversi Paesi europei, smistano le richieste di aiuto alle guardie costiere italiane e maltese, raccolgono informazioni e fanno lavoro di advocacy, sensibilizzazione e denuncia.

L’ultimo dossier documenta il “blocco dei migranti” voluto dall’Europa in alcuni Paesi africani, che causa serie violazioni ai diritti umani. "La polizia continua a fare retate in questi Paesi o sulle principali rotte di passaggio dei migranti, che poi finiscono nei centri di detenzione in Algeria e Sudan - spiega padre Zerai -. In Sudan le retate vengono eseguite dai cosiddetti 'diavoli a cavallo', i Janjaweed, pagati per arrestare i migranti. Li prendono e se pagano li lasciano andare, altrimenti li consegnano ai poliziotti sudanesi che li portano nei centri di detenzione. 

Ma anche i poliziotti chiedono soldi ai migranti per lasciarli andare, altrimenti li portano davanti ad un tribunale che li condanna al rimpatrio forzato verso i Paesi di origine". "Invece di spendere milioni e miliardi in meccanismi di difesa - rimarca il sacerdote eritreo - spendiamoli per creare contesti di vita dignitosa, sicurezza nei Paesi di origine o nei Paesi vicini che già accolgono centinaia di migliaia di rifugiati".

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