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martedì 4 aprile 2017

Libia: Msf, 40% dei migranti merce umana costretta a partire sui barconi

AnsaMed
"Il 40% delle persone salvate dai barconi ci dicono che sono state costrette a salirvi". Lo racconta Arjan Hehenkamp, direttore generale di Medici senza frontiere, parlando all'Associazione stampa estera di Roma.


Il rappresentate olandese di Msf ha riferito della sua esperienza nei progetti dell'ong in Libia e dei centri di detenzione visitati a Tripoli, veri e propri "magazzini umani" - li ha definiti -, dove ha ricevuto testimonianze di "abusi e torture". Tra le persone imprigionate ci sono "migranti, ma anche persone che vivono in Libia da decenni, prese per strada", ha spiegato. "Danno loro la caccia perché valgono denaro, rappresentano merce di scambio".

Le persone sono "rinchiuse tutte insieme in stanze che potrebbero contenerne un quinto". I detenuti, decine di migliaia in tutto il Paese secondo i dati riportati, "sono alla mercé dei miliziani" e subiscono dalle guardie "violenze e abusi".

L'unico modo per scappare è "pagare le milizie. Nel momento in cui hanno soldi, i detenuti vengono spinti a prendere il barcone e partire anche se non vogliono". Quello che denuncia Msf è un vero e proprio "business, un sistema organizzato. Sono le gang che decidono della vita di queste persone".

I centri nei quali opera Msf da mesi per portare assistenza sanitaria "sono formalmente controllati dal dipartimento per il controllo della migrazione illegale sotto il governo di Tripoli, riconosciuto dalle Nazioni unite", spiega il direttore Msf, ma di fatto i centri "sono controllati da vari gruppi di miliziani, sono loro le autorità, anche se ufficialmente dovrebbe essere il governo. Questo rende il nostro lavoro difficile".

Per quanto riguarda il lavoro sul Mediterraneo, "la guardia costiera libica non ha il controllo totale delle barche e del personale, perché molti hanno paura di bloccare i trafficanti per le ripercussioni sulle loro famiglie", racconta Hehenkamp. Inoltre, una volta bloccati i barconi, "i migranti tornano nei centri detentivi e si ripetono gli abusi".

Impossibile controllo su accordi con la Libia: personale Onu sta a Tunisi e ambasciata Italia a Tripoli non basta

"Quando si dice che le organizzazioni internazionali sono in grado di monitorare gli accordi internazionali con la Libia come quello italiano è falso, perché non c'è nessuna presenza nel territorio" in grado di "combattere gli abusi" nei centri di detenzione dei migranti., ha detto ancora Hehenkamp in merito alla presenza a Tripoli di attori internazionali come l'Onu.

"Le persone vengono ricercate, prese in ostaggio, detenute, e questo è un rischio che vale anche per lo staff internazionale, quindi la maggior parte delle ambasciate si trova a Tunisi", come anche le Ong e altre organizzazioni. A Tripoli c'è lo staff locale, ha proseguito, ma il suo lavoro è limitato "a causa delle minacce delle gang". L'unica ambasciata europea presente "è quella italiana, ma non è sufficiente. L'unica cosa responsabile da fare è far uscire queste persone dai centri".

Secondo Msf, i politici vogliono bloccare i flussi perché sono un rischio per le prossime elezioni", in particolare in Germania, Francia e Italia. E questo è anche un motivo delle "accuse fatte alle Ong" che operano nel Mediterraneo.

Quanto agli accordi tra la Libia e Paesi europei come l'Italia, ha sottolineato, è "impossibile" pensare che la Libia in questo momento "possa essere parte di qualunque soluzione". "I politici lo sanno", ha proseguito, l'unica via "è che il Paese diventi politicamente stabile, ma ci vorrebbero 10 anni". Serve dunque, ha affermato, un' "evacuazione umanitaria". 

"L'Europa ora sta chiudendo sistematicamente ogni modo umano di arrivare, non ci sono rotte", tranne quella libica che "forza le persone a queste condizioni". Ma "è responsabilità della politica creare un modo sicuro di giungere in Europa".

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