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lunedì 17 aprile 2017

Giustizia/Italia - Dal 1992 ad oggi 25.000 persone in carcere innocenti

linkiesta.it
I giudici in Italia sbagliano molto. E per chi è sottoposto a giudizio, e sanzionato con il carcere, molto spesso è impossibile far valere i propri diritti. Ecco perché siamo la maglia nera della giustizia. 


Pubblichiamo un estratto dell'intervento tenuto dall'avvocato Francesco Petrelli, segretario dell'Unione Camere Penali Italiane, in occasione del dibattito con Alberto Matano e Francesco Specchia sugli errori giudiziari alla seconda edizione di LexFest, festival nazionale dedicato alla giustizia e agli operatori del diritto e dell'informazione (www.lexfest.it).

Dal 1992 ad oggi l'Italia ha pagato oltre 630 milioni di euro di riparazioni per ingiuste detenzioni. Solo nel 2016, secondo i dati ufficiali del Ministero, sono stati pagati 42 milioni di euro. Sono 25.000 i cittadini ingiustamente privati della libertà personale in questo periodo di tempo. 

È come se un'intera città avesse subito una ingiusta detenzione. Considerato che solo 1 domanda su 7 viene accolta e che in molti casi (per varie ragioni) le domande per l'equa riparazione neppure vengono avanzate, il fenomeno assume proporzioni davvero sconcertanti

Sebbene la legge sulla custodia cautelare sia stata più volte riformata e abbia subito, meno di due anni fa, un'ulteriore modifica volta a ridurre ulteriormente l'utilizzo della custodia in carcere, il numero dei detenuti in attesa di giudizio è ancora cresciuto. Ed è questa con tutta evidenza una condizione che inevitabilmente innalza i rischi dell'ingiustizia.
Alberto Matano con la trasmissione televisiva "Sono innocente" ha dato una voce e un volto a quelle migliaia di vittime silenziose dell'ingiustizia, e ha con questo compiuto un gesto "politico" di verità, mostrando al pubblico che il processo penale può essere una macchina micidiale che può stritolare un innocente e per questa ragione deve sempre essere usato can cautela, dai media e dalla magistratura, e deve sempre rispettare la libertà e la dignità della persona. Questa operazione di verità ci deve consentire, tuttavia, anche di svelare quei meccanismi che in profondo producono l'errore, nonché di mostrare la tipica fallacia di alcuni percorsi investigativi e la mancanza di un sano e reale controllo da parte del giudice sull'operato dei pubblici ministeri. Svelare l'eziogenesi degli errori giudiziari ci aiuta a impedire che essi si ripetano ancora.

Ci si dimentica, infatti, che l'errore giudiziario è quasi sempre il frutto di una erronea prassi giudiziaria e investigativa, e di un troppo superficiale approccio alla valutazione della prova. 

È vero che non tutti i casi di errore corrispondono a una responsabilità del magistrato, ovvero a una sua colpa inescusabile, è tuttavia vero che un procedimento viziato nel metodo spesso produce un risultato scorretto. Ciò che spesso accade è che il pubblico ministero non verifichi con sufficiente accuratezza il metodo investigativo adottato dalla polizia giudiziaria, e che a sua volta il giudice della misura cautelare operi un eccessivo affidamento sui risultati probatori offerti dal pubblico ministero.
Accade così che giudice e pubblico ministero, anziché rivestire i ruoli che gli spetterebbero del controllore e del controllato, si trovano spesso affiancati in una medesimo ruolo di "scopritori della verità", facendo venire meno ogni possibile rimedio all'eventuale errore investigativo, e sottovalutando spesso gli effetti devastanti delle loro scelte. 

Quello che vale per la ricerca scientifica dovrebbe valere anche per le indagini e per i processi. Le ipotesi investigative, così come le ipotesi scientifiche, dovrebbero essere controllate, non cercando esclusivamente gli elementi che le confermano, ma soprattutto confrontando quelle ipotesi con tutti gli elementi capaci di contraddirle e di confutarle.
A ben vedere si tratta di un metodo che offre maggiori garanzie per l'indagato e limita grandemente i margini di errore, ma che mal si concilia con quella cultura mediatico-giudiziaria che attraversa vincente la nostra società e che pretende soluzioni rapide dei casi giudiziari, che pretende un colpevole a tutti i costi da offrire all'appetito onnivoro dei media e da somministrare ad una opinione pubblica impaziente. La cosiddetta "fallacia del tiratore scelto", esemplificata dall'immagine del tiratore che prima tira il colpo e poi ci disegna intorno il bersaglio, laddove sia anche accompagnata dal clamore di un pubblico plaudente, è la strada maestra che conduce all'errore giudiziario.

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