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lunedì 19 dicembre 2016

Reporters Sans Frontières (Rsf): 74 operatori dell'informazione uccisi nel 2016

La Repubblica
Cinquantasette i giornalisti, 17 i blogger e i collaboratori di mezzi di informazione che hanno trovato la morte. Il maggior numero di vittime in Paesi in cui sono in corso conflitti. Nel corso del 2016 in tutto il mondo sono stati uccisi 57 giornalisti. Il bilancio stilato da Reporters sans frontières (Rsf) è quest'anno meno pesante rispetto al 2015, quando gli operatori dell'informazione che persero la vita svolgendo il proprio lavoro furono 67. Ma ci rimanda sempre a una situazione drammatica, soprattutto nei Paesi teatro di conflitti.


Il triste primato spetta alla Siria, con 19 giornalisti uccisi contro i nove dell'anno scorso. Seguono l'Afghanistan con dieci, il Messico con nove, l'Iraq con sette e lo Yemen con cinque. 

Nell'anno che sta per concludersi sono stati assassinati anche nove blogger e otto collaboratori di mezzi di informazione, il che porta a 74 il totale delle persone morte "per aver esercitato la loro missione di informare", sottolinea Rsf nel suo rapporto.

"La diminuzione rispetto al 2015 - rileva l'organizzazione - si spiega con il fatto che sono sempre di più i giornalisti che fuggono dagli Stati troppo pericolosi: la Siria, l'Iraq, la Libia e poi lo Yemen, l'Afghanistan, il Bangladesh o il Burundi sono diventati buchi neri dell'informazione in cui regna l'impunità".
Quasi tutte le vittime - 53 su 57 - hanno trovato la morte nei loro Paesi. Tra quelle uccise in Siria c'è Osama Jumaa, fotoreporter diciannovenne dell'agenzia britannica Images Live colpito il 5 giugno mentre documentava un'operazione di soccorso dopo i bombardamenti di un quartiere di Aleppo. 

Un altro primato non invidiabile è quello del Messico, il Paese non in guerra in cui si registra il maggior numero di giornalisti uccisi.
Nel suo rapporto Rsf fornisce anche il dato degli ultimi dieci anni: almeno 780 vittime. In aumento rispetto al 2015 il numero dei giornalisti incarcerati o detenuti, un dato da attribuire in particolare alla situazione in Turchia dove al 13 dicembre risultavano in prigione più di 100 reporter o collaboratori di mezzi di informazione.

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