Pagine

domenica 17 aprile 2016

Un messaggio contro l’indifferenza - Umanità e concretezza del Papa tra i migranti

Corriere della Sera
di Andrea Riccardi
Con la sua visita a Lesbo e il gesto di prendere con sé dodici rifugiati, Francesco ha indicato una via alla politica europea, bloccata dalla paura dei populismi e timorosa

di veder diminuire i consensi


È durato poche ore il viaggio di Francesco a Lesbo, ma è stato ricco di messaggi. Il Papa si è mosso senza protagonismo tra il patriarca Bartolomeo e l’arcivescovo ortodosso greco, Hieronymos. Ha indicato una via alla politica europea, bloccata dalla paura dei populismi. Ha affrontato il gioco ambiguo di una politica, tesa a scaricare i rifugiati sugli altri, perché fanno perdere i voti. Come mostra l’atteggiamento preelettorale dell’Austria sul Brennero. O l’accordo dell’Unione europea con la Turchia per bloccare migranti e rifugiati in cambio di vantaggi politico-economici. Francesco non condivide il rifiuto dei rifugiati (musulmani) in nome della difesa dell’identità cristiana, come avviene nell’Est europeo. Ha portato un forte appoggio alla Grecia in crisi su cui si scarica tanta parte dei rifugiati verso l’Europa.
Il Papa si è mosso come un semplice cristiano con umanità e concretezza. Innanzi tutto ha incontrato i rifugiati e li ha ascoltati, ricordando con un tweet: «i profughi non sono numeri, ma persone». Ha visitato Moria, un hotspot dal triste aspetto. La dichiarazione congiunta dei «tre vecchi», il papa, Bartolomeo e Hieronymos afferma: «L’Europa oggi si trova di fronte a una delle più serie crisi umanitarie dalla fine della seconda guerra mondiale». È una catastrofe mondiale.

In essa la Chiesa greca si è mossa con generosità, distaccandosi da altre Chiese timorose dei musulmani. Il papa conosce le preoccupazioni della gente di fronte a un’«invasione». L’invito però è stato: non essere prigionieri della paura o del «sonno dell’indifferenza». Bartolomeo ha avuto un’espressione stupenda verso i rifugiati: «Quelli che hanno paura di voi non vedono le vostre facce e i vostri bambini». Francesco ha preso come paradigma l’atteggiamento degli abitanti di Lesbo (in parte discendenti di rifugiati dall’Anatolia). Lo ha proposto all’Europa: «Un’umanità che non vuole costruire ponti e rifugge dall’illusione di innalzare recinti per sentirsi più sicura». Le barriere creano divisioni e poi scontri.

E qui si colloca il gesto concreto del Papa: prendere in aereo, come suoi ospiti, dodici rifugiati siriani (musulmani), un frammento della fiumana dei quattro milioni e mezzo rifugiati dalla Siria in Turchia, Libano e Giordania. Una famiglia viene da Deir el-Zor, città del deserto siriano occupata da Daesh e affamata dal conflitto. La città fu, dal 1915, approdo di tanti armeni deportati (poi in parte morti). Il Papa porta, come suoi ospiti, sei bambini che hanno negli occhi le immagini della guerra e non hanno conosciuto mai la pace. Cosi invita a non avere paura di questa gente. L’accoglienza non minaccia l’Europa: l’integrazione è la via per il Papa.

È la logica del «ponte» che risponde anche al bisogno demografico del vecchio continente. I «tre vecchi» hanno voluto parlare al mondo — hanno detto — a nome dei rifugiati. Il gesto di Francesco concretizza le loro parole. È in linea con l’appello rivolto alle comunità cattoliche europee nel settembre 2015, quando chiese a ognuna di accogliere una famiglia rifugiata. La risposta non è stata eccellente, non per mancanza di disponibilità, ma per le pastoie civili e ecclesiastiche. Il Papa non cede e prende con sé dodici rifugiati. Chiede all’Europa, «patria dei diritti umani», di essere all’altezza della sua storia.

Il sogno dei «tre vecchi» è suscitare — ha detto Hieronymos — «un movimento mondiale di consapevolezza» sul dramma. Bartolomeo ha aggiunto in modo autorevole: «Il mondo sarà giudicato da come vi ha trattato». Non va sottovalutato il ruolo del patriarca ecumenico nell’invito a Lesbo. L’isola appartiene alla sua giurisdizione, ma è amministrata dalla Chiesa greca dal 1928. Il Papa, tornato in mezzo ai suoi «fratelli», accetta di essere aiutato da altri leader cristiani. Mette la macchina organizzativa vaticana – tra cui il lavoro del Sostituto Becciu e della Segreteria di Stato- al servizio di un’impresa ecumenica.

L’amicizia tra Bartolomeo e Francesco gioca un ruolo propulsivo. Troppo ci si è attardati solo in un dialogo ecumenico, diventato ideologico. C’è — come sostiene don Marco Gnavi — un ecumenismo che parte dai poveri. I quali chiamano i cristiani all’unità. In loro — ha detto Francesco — si vede la presenza di Gesù, come insegna il Vangelo di Matteo. I «tre vecchi» da Lesbo inviano un messaggio ai cristiani perché ripartano dai poveri. Mi chiedo se non sia necessario, anche per le differenze tra cristiani europei sull’accoglienza (in tutte le Chiese), tenere un sinodo o una riunione di leader cristiani europei su una problematica così vitale.

I «tre vecchi» hanno denunciato la guerra, «madre» della tragedia dei rifugiati: «prima di tutto è necessario costruire la pace là dove la guerra ha portato distruzione e morte, e impedire che questo cancro si diffonda altrove». Il viaggio a Lesbo è stato un inno, certo doloroso, al servizio nell’amore: «Questo è il vero potere che genera la pace…» — ha detto Francesco. È la sua sfida pacifica all’Europa e al mondo. L’ha portata sull’estrema frontiera europea, chiedendo di aprire un «ponte». Da parte sua, ha aperto lui stesso una porta dicendo ai profughi che non ci sono estranei.

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.