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martedì 29 dicembre 2015

Reporters senza frontiere: 110 giornalisti uccisi nel 2015, 2 su 3 non erano in zona di guerra

Il Tempo
Sono i numeri del dossier di Reporters senza frontiere che lancia l'allarme: "Necessario un rappresentante speciale del segretario generale dell'Onu per proteggere i reporter".

Il bilancio di sangue pagato nel 2015 dai giornalisti è di 110 reporter uccisi, molti - a sorpresa ed in controtendenza rispetto agli anni passati - non in zone teatro di guerre ma in Paesi formalmente privi di conflitti. È quanto emerge dall'ultimo reporter dell'organizzazione "Reporters senza frontiere" (RSF). Dei 110 uccisi, 67 sono stati eliminati mentre stavano svolgendo il loro lavoro mentre 43 hanno perso la vita in circostanze avvolte dal mistero. Un dato ancora più preoccupante, quest'ultimo, perché elimina il discrimine tra il rischio assunto con consapevolezza che sconfina a tratti nell'eroismo dagli inviati di guerra, ad esempio, ed i semplici cronisti, cui non difetta il coraggio di seguire inchiesta scomode a casa, operando in Paesi non in guerra ma dove la criminalità teme la stampa.

Nella conta risulta anche la perdita di 27 cosiddetti "citizen-journalists" (reporter non professionisti ma non per questo meno agguerriti) e sette altri cameramen, fonici e tecnici, esposti agli stessi rischi dei reporter ma spesso senza gli stessi onori e senza il cui lavoro il giornalista da solo riuscirebbe a combinare ben poco. La minaccia principale viene dai cosiddetti "gruppi non statuali" come i jihadisti di Isis, che hanno perpetrato atrocità contro i reporter Nel 2014 due terzi dei giornalisti uccisi svolgevano il loro lavoro in zone di guerra. Nel 2015 è stato l'esatto opposto; "due terzi sono stati eliminati in Paesi in pace" Reporter senza Frontiere vuole che sia nominato "un rappresentante speciale del segretario generale dell'Onu per proteggere i reporter". I Paesi più a rischio restano i soliti con alcun sorprese: Iraq (11 morti), Siria (10), terza e triste new entry la Francia con le 8 vittime, uccise nell'attacco al settimanale satirico Charlie Hebdo il 7 gennaio scorso, seguita dallo Yemen (10 morti) dove è in corso una guerra civile per procura tra sunniti sostenuti da Riad e ribelli sciiti Houthi appoggiati dall'Iran; Sud Sudan (7 vittime), India (9 morti), Messico, uno dei Paesi più pericolosi al mondo per chiunque, civili inclusi, dove i narcos controllano intere aree del Paese, (8 morti), Filippine (7) così come l'Honduras.

Rapiti e tenuti in ostaggio. Oltre al bilancio delle vittime pagato nel 2015 dai giornalisti (110) è altissimo il numero di reporter rapiti e tenuti in ostaggio (54) ed ancora più alto quello di quelli in prigione per aver svolto il loro lavoro: 154. È quanto emerge dall'ultimo reporter dell'organizzazione "Reporters senza frontiere" (RSF). Tra i 54 rapiti, 26 sono tenuti in ostaggio in Siria, 13 in Yemen, 10 in Iraq e 5 in Libia. Tra i ben 153 detenuti la non ambita palma spetta alla Cina (23 giornalisti in prigione), regime che prova ad aprirsi ma ancora condizionato dal pulsioni restrittive (da ultimo si veda la recentissima l'espulsione di un reporter del settimanale francese Nouvelle Observateur), seguita dall'Egitto (22), 18 in Iraq, 15 in Eritrea, 9 nella Turchia del neo-sultano dalle ambizioni ottomane, il presidente Recep Tayyip Erdogan che non tollera la libertà di stampa e l'ha dimostrato spesso facendo arrestate giornalisti e chiudere testate. Gli altri 69 collegi in carcere sono detenuti nel resto del mondo.

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