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lunedì 2 novembre 2015

Dal carcere al Cie, l’Italia fermi l’espulsione di Abdel Touil. Rischia la pena di morte

Il Manifesto
Caso Touil. Dal carcere al Cie con rischio rimpatrio, l’Italia impedisca la riedizione del «caso Shalabayeva»



Ai suoi legali, Sil­via Fio­ren­tino e Guido Savio, il ven­ti­duenne maroc­chino Abdel­ma­jid Touil è apparso «in con­di­zioni fisi­che e soprat­tutto psi­chi­che gra­ve­mente com­pro­messe» e ancora: «lo sguardo perso nel vuoto, inca­pace di rico­no­scere le per­sone» com­prese quelle con le quali ha avuto qual­che dime­sti­chezza in un pas­sato assai recente. Per la verità, non è raro che in un Cen­tro di iden­ti­fi­ca­zione ed espul­sione (Cie), come quello in cui ora è trat­te­nuto Touil, a Torino, le per­sone si tro­vino in un simile stato.

Io, il gio­vane maroc­chino, l’ho incon­trato cin­que giorni fa nella sua cella, nel car­cere di Opera, nei pressi di Milano. Abdel è alto circa un metro e ottanta e di bell’aspetto. In quella cir­co­stanza indossa una felpa scura e i pan­ta­loni di una tuta e, ai piedi, un paio di infra­dito azzurre, la cal­za­tura più dif­fusa in tutte le car­ceri ita­liane. Rispetto alle foto pub­bli­cate la scorsa pri­ma­vera, mi appare sma­grito e sca­vato. E, soprat­tutto, come ran­nic­chiato in se stesso, le spalle strette e lo sguardo smarrito.

Ha vis­suto in una con­di­zione di auten­tico panico le ultime set­ti­mane, atter­rito dalla pre­oc­cu­pa­zione che la sen­tenza di un tri­bu­nale ita­liano potesse respin­gerlo in quella Tuni­sia dove è indi­cato come cor­re­spon­sa­bile di un’atroce e san­gui­nosa strage. Di con­se­guenza, non mi è dif­fi­cile imma­gi­nare, che que­sto gio­vane uomo, libe­rato mer­co­ledì mat­tina e, appena poche ore dopo, nuo­va­mente rin­chiuso in un luogo che può risul­tare «peg­gio di un car­cere» (secondo un’opinione dif­fusa), sia pre­ci­pi­tato in un pro­fondo stato con­fu­sio­nale. Anche per­ché, va detto, la pro­spet­tiva temuta fino a 48 ore fa e, poi, in appa­renza sven­tata, ora sem­bra ripro­porsi inal­te­rata e altret­tanto minac­ciosa: respinto nel pro­prio paese di nascita, il Marocco, diventa alta­mente pro­ba­bile l’estradizione in Tuni­sia. Oltre­tutto, Abdel pro­viene da una situa­zione di penu­ria estrema sotto il pro­filo sociale e cul­tu­rale, e ha vis­suto, nei cin­que mesi di deten­zione, come pre­ci­pi­tato in un uni­verso total­mente sco­no­sciuto. Una cella di una isti­tu­zione di un paese del quale sem­bra igno­rare tutto: legge e con­sue­tu­dini, lin­gua e valori. Final­mente usci­tone, ora si trova in una isti­tu­zione, se pos­si­bile, ancora più cru­dele, e senza nem­meno le regole, i codici e le gerar­chie che ammi­ni­strano la vita car­ce­ra­ria assi­cu­ran­dole almeno un po’ di razionalità.

Ma per­ché mai Abdel è stato con­dotto qui? L’altro ieri, non solo è stata respinta la richie­sta di estra­di­zione ma è acca­duto che la pro­cura di Milano archi­viasse le inda­gini per ter­ro­ri­smo inter­na­zio­nale e strage, dal momento che gli indizi a suo carico sono risul­tati assai fra­gili e deci­sa­mente non atten­di­bili. Ciò nono­stante, Abdel è stato imme­dia­ta­mente tra­sfe­rito nel Cie di Torino, desti­nato a un imme­diato rim­pa­trio. Ma chi ci assi­cura che non sarà il Marocco a con­se­gnarlo alla poco affi­da­bile giu­sti­zia tuni­sina? Insomma, quali garan­zie ci sono a tutela della sua inco­lu­mità? Dopo cin­que mesi di pesante deten­zione, rive­la­tasi del tutto immo­ti­vata e inu­til­mente afflit­tiva, pos­si­bile che non si tro­vasse una diversa solu­zione? Sua madre è rego­lar­mente resi­dente a Gag­giano, a pochi chi­lo­me­tri da Milano, da 9–10 anni e li vivono anche un fra­tello e una sorella. E sem­pre lì Abdel Touil si era recato ad abi­tare, nella casa della madre, appena sbar­cato in Ita­lia; e nella vicina Trez­zano sul Navi­glio aveva ini­ziato a fre­quen­tare con assi­duità un corso per l’apprendimento della lin­gua italiana.

Tutto ciò e la sen­tenza della Corte d’appello di Milano dovreb­bero costi­tuire una ragione più che suf­fi­ciente per con­ce­der­gli, il prima pos­si­bile, la pro­te­zione inter­na­zio­nale, pro­prio per evi­tare che la sua vita sia ancora messa in peri­colo. E pro­prio per­ché una misura di pro­te­zione gli per­met­te­rebbe di por­tare avanti il per­corso di inte­gra­zione intra­preso lo scorso feb­braio. Ma il suo piano di inse­ri­mento è stato bru­tal­mente inter­rotto prima dalla deten­zione nel car­cere di Opera e ora dal trat­te­ni­mento nel Cie di Torino. Il rila­scio di un per­messo di sog­giorno sarebbe un dove­roso risar­ci­mento. Guai se l’Italia, dopo aver inflitto a Touil un’inutile car­ce­ra­zione, e dopo aver mostrato il suo volto migliore e più garan­ti­sta con la sen­tenza della quinta sezione penale della Corte d’appello di Milano, ne met­tesse nuo­va­mente a repen­ta­glio l’incolumità e il futuro. Sarebbe, come oppor­tu­na­mente scri­vono i suoi avvo­cati, una rie­di­zione dello scia­gu­rato «caso Shalabayeva».


Luigi Manconi

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