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martedì 15 settembre 2015

Il Giappone accolga più rifugiati - Nel 2014 riconosciuti 11 profughi su 5000 richieste di asilo

Il Sole 24 Ore
Il Giappone dovrebbe rendersi disponibile ad accogliere un numero più ampio di rifugiati, nel quadro di una assunzione di maggiori responsabilità internazionali sul fronte della sicurezza che non dovrebbe esplicitarsi tanto sul piano militare quanto su livelli diversi. 

Lo ha dichiarato l'ex premier giapponese Naoto Kan, in un incontro al Foreign Correspondents' Club of Japan (Fccj) moderato dal Sole-24 Ore.

I rifugiati _ Il contrasto con Abe si estende alla politica di sicurezza che l'attuale premier sta promuovendo attraverso una controversa nuova “interpretazione ufficiale” della Costituzione ultrapacifista. Kan biasima gli scopi e i metodi di una politica che rischia di coinvolgere il Paese in future guerre attraverso l'introduzione della cosiddetta “difesa collettiva” (possibilità per le Forze di Autodifesa di intervenire all'estero in difesa di alleati anche in mancanza di un attacco diretto al Giappone).

Nel marzo scorso, Abe nel corso di una visita in Egitto ha promesso 200 milioni di dollari per lo più a sostegno dei rifugiati che cercano scampo dall'avanzata dell'Isis in Siria e Irak (l'Isis decapitò subito dopo due ostaggi giapponesi). Ma la sua amministrazione non sembra intenzionata ad allargare le maglie strettissime dell'accoglienza pratica. 
L'anno scorso il Giappone ha accolto solo 11 profughi, lo 0,2% delle circa 5mila richieste pervenute (un numero già di per sé basso, in quanto è notoria la difficoltà di accoglimento delle domande). 
Va detto che il Giappone è il secondo contribuente dell'agenzia Onu per i rifugiati, con oltre 181 milioni di dollari stanziati l'anno scorso.

Una generosità formale oltre la quale non va, nonostante l'aggravarsi di un problema che, ad esempio, ha spinto l'Australia ad annunciare mercoledì scorso che accoglierà 12mila profughi da Siria ed Irak in aggiunta all'impegno esistente di accoglienza umanitaria annuale per 13.750 persone.

Nello stesso giorno, un gruppo di richiedenti asilo è sfilato per le vie del centro di Tokyo per cercare di ottenere il visto. Alcuni siriani si sono anche rivolti alla magistratura sostenendo che la rigida interpretazione delle autorità sulla figura dei rifugiati non corrisponde agli standard internazionali (non basta fuggire da zone di guerra, ma occorre in genere dimostrare di sfuggire a specifiche persecuzioni con pericolo di vita).

In alcuni rarissimi casi il governo ha concesso, invece dello status di rifugiato, un visto per “ragioni umanitarie” che comunque rende molto difficile l'insediamento stabile nel Paese con le famiglie. In un position paper emesso già a luglio, l'ufficio di Tokyo della UNHCR (l'agenzia Onu dei rifugiati) ha chiesto che Tokyo consideri l'ammissione di rifugiati siriani con un atteggiamento umanitario più esplicito.

Quantomeno, secondo alcune organizzazioni per i diritti civili, il governo dovrebbe considerare un programma pilota simile a quello introdotto nel 2010 per accogliere profughi birmani rifugiatisi temporaneamente in Thailandia. Per ora, l'amministrazione Abe appare sorda alle sollecitazioni. Secondo Kan, questo è un venir meno a innegabili responsabilità internazionali, proprio quando si promuove la possibilità di interventi militari all'estero con l'argomento della necessità di un ruolo globale più spiccato del Giappone.

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