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sabato 8 agosto 2015

Siria - L’Isis rapisce 230 civili, 60 cristiani presi in chiesa nella pro­vin­cia di Homs

Il Manifesto
Un giorno di occu­pa­zione e lo Stato Isla­mico ha già testato il suo bar­baro pugno di ferro sulla comu­nità di al-Qaryatain, nella pro­vin­cia di Homs: 230 per­sone sono state rapite per­ché accu­sate di «col­la­bo­ra­zione con il regime di Assad». Ses­santa di loro, cri­stiani siriani, sono stati por­tati via men­tre si tro­va­vano in una chiesa della città, presa dagli uomini del califfo dopo duri scon­tri durati due giorni con l’esercito gover­na­tivo. Una scon­fitta cocente per Dama­sco vista la posi­zione stra­te­gica della comu­nità, sulla strada di col­le­ga­mento tra le mon­ta­gne di Qala­moun al con­fine con il Libano e la cen­trale Palmira.

Così viene col­pita una città da sem­pre con­si­de­rata sim­bolo di coe­si­stenza nel ricco pano­rama etnico e reli­gioso siriano: erano 18mila i resi­denti prima della guerra civile, di cui 2mila siriaci cat­to­lici e cri­stiani orto­dossi. Secondo fonti locali, oggi i cri­stiani ancora resi­denti sareb­bero solo 300. Un’aggressione che sta spin­gendo i cri­stiani di molti vil­laggi vicini, Sadad, Hou­ra­nin, Wah­min, alla fuga verso la capi­tale pro­vin­ciale, Homs, ancora in mano a Damasco.

Subito si sono sol­le­vate le orga­niz­za­zioni per i diritti umani, a par­tire da Amne­sty Inter­na­tio­nal che ha chie­sto l’immediato rila­scio dei civili disar­mati fatti pri­gio­nieri. Con­ferme arri­vano dal patriar­cato siriaco orto­dosso di Dama­sco: «È molto dif­fi­cile rag­giun­gere i resi­denti in que­sto momento – ha detto il vescovo Matta al-Khoury – ma sap­piamo che quando l’Isis è entrato in città, ha costretto alcune per­sone agli arre­sti domi­ci­liari e ne ha usate altre come scudi umani».

L’aggressione con­tro mino­ranze etni­che e reli­giose è un mar­chio di fab­brica dello Stato Isla­mico, che nel mirino ha chiun­que non segua la folle inter­pre­ta­zione dell’Islam del califfo: kurdi, cri­stiani, yazidi, sciiti, turk­meni, assiri, ma soprat­tutto sun­niti che – nella mente di al-Baghdadi – non rispet­tano alla let­tera i dogmi impo­sti dai jihadisti.

Le con­se­guenze sono con­crete: chiese e moschee distrutte, reli­giosi e civili rapiti, omi­cidi, stu­pri, attac­chi con­tro mona­steri e con­venti. Una realtà ben diversa da quella vis­suta prima del 2011: molte comu­nità cri­stiane hanno garan­tito il pro­prio soste­gno al governo del pre­si­dente Assad, con­si­de­rato difen­sore dei diritti della mino­ranza reli­giosa. Rap­pre­sen­tante del par­tito Baath, fazione laica fon­data sul nazio­na­li­smo arabo, Bashar – come suo padre Hafez e come il pre­si­dente ira­cheno Sad­dam Hus­sein – ha usato la libertà di fede per evi­tare set­ta­ri­smi interni poten­zial­mente peri­co­losi per la tenuta dello Stato. La legi­sla­zione siriana ha sem­pre pre­vi­sto al suo interno poli­ti­che di pro­te­zione delle mino­ranze e ha represso ogni forma di estre­mi­smo isla­mico, a favore del nazio­na­li­smo siriano e panarabo.

Tale stra­te­gia ha garan­tito ai cri­stiani siriani di godere di buone posi­zioni eco­no­mi­che e anche poli­ti­che, tanto da fare della comu­nità una delle prin­ci­pali soste­ni­trici di Assad. Lo si è visto recen­te­mente: molti cat­to­lici, siriaci e assiri cri­stiani hanno preso le armi e si sono uniti all’esercito gover­na­tivo, a par­tire dalla città di Aleppo.

E lo si è sen­tito, nelle dichia­ra­zioni con­giunte dei lea­der cri­stiani siriani, rila­sciate in un viag­gio a Washing­ton di un anno e mezzo fa: rap­pre­sen­tanti del patriar­cato greco orto­dosso di Anti­o­chia, del sinodo evan­ge­lico nazio­nale di Siria e Libano, della chiesa pre­sbi­te­riana e di quella siriana orto­dossa hanno fatto appello agli Stati uniti per­ché inter­rom­pes­sero le rela­zioni con Ara­bia sau­dita, Qatar e Tur­chia, accu­sati di finan­ziare e soste­nere l’arrivo di mili­ziani isla­mi­sti nel paese.

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