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lunedì 24 agosto 2015

Macedonia, frontiera aperta. Profughi lungo la rotta balcanica con l'obiettivo Europa, ma l'Ungheria alza il muro al confine

Huffigton Post
Molti di loro arrivano dalla Siria, dall’Iraq e dall’Afghanistan. Sono profughi che arrivano da zone di guerra e vogliono entrare in Europa: sono passati dalla Turchia, hanno oltrepassato il mare verso le isole greche, hanno raggiunto la terraferma e proseguito fino al confine con la Macedonia. Dopo giorni di scontri con la polizia macedone sono riusciti a far aprire la frontiera, arrivando in Serbia. Ora vogliono proseguire la rotta balcanica fino all’Ungheria, che in gran fretta sta chiudendo i propri confini per evitare l’invasione.


Il governo ungherese di Viktor Orban ha annunciato a inizio luglio la costruzione di una sorta di muro, una recinzione di rete metallica, filo spinato e lamette alta circa 4 metri e lunga 175 chilometri, che corre per la lunghezza del confine con la Serbia. I lavori procedono a ritmo serrato, il Governo punta a completarlo non più a novembre, come inizialmente previsto, ma già a fine agosto. Né le proteste di Ue e Unhcr sono servite a far cambiare idea a Orban, su cui pesa la competizione elettorale interna del crescente partito xenofobo Jobbik.

I numeri dell'esodo impressionano e crescono giorno dopo giorno. Sono cifre epocali: solo nei primi sei mesi del 2015, sono state oltre 400 mila le domande di asilo registrate nell'Ue, contro le 660 mila dell'intero 2014, già anno record. La sola Germania ha detto di aspettarsi entro fine anno 800mila richieste, mentre Frontex ha annunciato il dato-shock di 107mila arrivi solo per il mese di luglio. A prevalere finora sull'approccio più solidale della Commissione Ue, che spinge per un meccanismo europeo permanente per la redistribuzione di chi chiede asilo, sono state le divisioni dei 28 e i discorsi elettorali interni. Con un conseguente rimpallo dei disperati, bloccati all'una o all'altra frontiera mettendo in forse il futuro di Schengen e della libera circolazione, e della responsabilità europea. Si rende sempre più urgente una determinazione e domani il tema delle quote di migranti sarà oggetto di discussione tra Angela Merkel e Francois Hollande, nel loro incontro a Praga.

La rotta balcanica è una delle più complesse: in Grecia aumentano a dismisura gli sbarchi e anche se la situazione a Kos è meno tesa delle scorse settimane si registrano disagi un po’ ovunque nelle isole: ad Agathonisi il numero di migranti ha superato quello degli abitanti e mancano acqua e medici per fronteggiare l’accoglienza. E l'emergenza non è destinata ad esaurirsi: per attenuare il peso sulle isole oggi 2.500 persone sono state trasportate dalle navi greche verso il porto ateniese del Pireo. Da lì puntano diretti verso nord-ovest, verso il confine macedone.

E oggi la Macedonia ha ceduto: dopo aver bloccato per giorni la frontiera con la Grecia, presa d'assalto da migliaia di profughi, usando anche con lacrimogeni e granate assordanti, la polizia ha lasciato passare i migranti a gruppi di 200-300 alla volta, con precedenza a donne con bambini e anziani. Sono stanchi, affamati e in pessime condizioni igieniche. Per i migranti che hanno passato il confine durante la notte è stato organizzato il trasporto con autobus verso la Serbia. Ii primi numeri diffusi dalla Croce Rossa dicono che in 8 mila avrebbero raggiunto il Paese e precisamente la città di Presevo, nel sud, dov'è in funzione un centro di accoglienza.

"Non so dove andremo. Sicuramente da qualche parte dove non ci sono bombe e dove non sgozzano la gente" dice all’Ansa Ahmed Rahman, siriano, 26 anni, come migliaia di suoi connazionali in fuga dal suo Paese martoriato dalla guerra civile e dall'avanzare dell'Isis. "Mia figlia sta male, ci mancano i farmaci e un posto caldo per dormire, speriamo che ce li dia la Serbia", racconta, ancora provato dal viaggio. "I terroristi in Siria hanno minacciato di sgozzare e massacrare tutti noi. Siamo stati costretti a fuggire".

"Siamo qui per miracolo. Il giorno dopo la nostra partenza ci hanno bombardato la casa", racconta Mohamed Abozed, 30 anni, iracheno, giunto in Macedonia con la moglie Iman e i due figli Ahmad e Nora. "Sono preoccupato per la salute dei bambini perché il viaggio li ha stremati. Abbiamo parenti in Svezia, ma non sappiamo come arrivarci. So solo che li dobbiamo ritrovare. Ci stanno aspettando", dice.

Disperazione e speranza legano le storie dei profughi. "Siamo rimasti in Siria nonostante lo scoppio della guerra. All'inizio abbiamo sperato che sarebbe durata poco e invece...", dice Mohamed, consulente economico siriano. "Non sappiamo chi combatte contro chi e perché. Se fossi rimasto in Siria, sarei stato costretto ad armarmi per difendere la mia famiglia e uccidere un altro siriano. E' per questo che ho deciso di andare via", aggiunge Mohamad mentre con lo sguardo guarda lontano. Verso l'Olanda, il Paese dove vorrebbe rifarsi una vita. "Chissà se ci accoglieranno".

"Io voglio andare in Germania, ma so che non sarà facile perché nessuno ci vuole, siamo solo un peso", dice Ahmed, ex poliziotto afghano. "I talebani mi hanno messo in guardia quattro o cinque volte dopo aver ammazzato mio padre. Vogliono che anche io uccida. Ecco perché ho lasciato il mio Paese", spiega.

Non sanno se riusciranno a raggiungere l’Europa e soprattutto cosa li aspetta. Ma di una cosa sono certi. Non torneranno più indietro. "Lo salteremo quel muro, non importa come. Dopo quello che abbiamo speso per arrivare fin qui, la barriera non ci fermerà", dice convinto un anziano iracheno, in viaggio con 12 parenti.

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