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mercoledì 22 luglio 2015

Usa, i vescovi contro la pena di morte: «Non possiamo insegnare a non uccidere uccidendo»

La Stampa
Forte appello dell’episcopato per l’abolizione della pena capitale. «La società può proteggere se stessa in modi diversi e migliori»

Quarant’anni. Tanto è il tempo trascorso dall’ultimo intervento così esplicito contro la pena di morte a firma dei vescovi degli Stati Uniti dalla sua reintroduzione da parte della Corte Suprema nel lontano 1976. Fatto che incontrò la ferma opposizione dell’allora presidente della Conferenza episcopale, il card. Joseph Louis Bernardin, arcivescovo di Cincinnati e poi di Chicago, figlio di emigranti italiani.

Non che nel frattempo non si sia alzata la voce dei pastori contro l’istituto della pena capitale, anzi: un esempio è proprio la Campagna di cui quest’anno ricorre il decennale, tuttavia neppure nel 2005 con un documento come «A Culture of Life and the Penalty of Death» riuscirono nell’impresa di convincere i loro fedeli. In anni di battaglie Pro-Life (per l’abolizione della legge che consente l’aborto) il tema della pena di morte – peraltro quasi assente anche dalle campagne elettorali presidenziali e congressuali – sembrava un argomento che era politicamente corretto tenere un po’ sottotono. Così non sono bastati i numerosi interventi di questi anni da parte di singoli vescovi, Commissione Giustizia e Pace o Conferenze episcopali di singoli stati (come quella dell’Illinois nel 2011) a far maturare una sensibilità contraria capace di incidere a livello politico.

Se qualcuno ora parla di «effetto Francesco» (il Papa si è espresso a più riprese condannando la pena capitale), in grado di far riprendere in mano il documento del 2005, è certo che fin dall’assemblea plenaria di Baltimora nello scorso autunno le priorità dei vescovi americani paiono aver imboccato una diversa direzione.

Già nel gennaio scorso i due vescovi presidenti della Commissione per la Giustizia Interna e lo Sviluppo Umano e di quella per la Vita, rispettivamente Wenski e O’ Malley, avevano accolto con favore l'annuncio della Corte Suprema di rivedere i protocolli farmacologici per le iniezioni letali nello stato dell'Oklahoma.

«Una pratica crudele, aveva detto l'arcivescovo di Miami Thomas G. Wenski, l'uso della pena di morte svaluta la vita e diminuisce il rispetto della dignità umana. Noi Vescovi continueremo a dire, che non possiamo insegnare a non uccidere uccidendo: ciò è profondamente sbagliato». «La società può proteggere se stessa in modi diversi e migliori del ricorso alla pena di morte. Preghiamo affinché la revisione di questi protocolli da parte della Corte porti a riconoscere che le pratiche di violenza istituzionalizzata contro qualunque persona erodono il rispetto per la santità di ogni vita umana».

«La pena capitale deve finire» aveva dichiarato il cardinale O’Malley arcivescovo di Boston cui avevano fatto eco le redazioni di quattro giornali cattolici - America, National Catholic Register, National Catholic Reporter e Our Sunday Visitor — per promuovere una sensibilizzazione diffusa.

«Per costruire una cultura della vita, la pena capitale deve essere abolita»: scrivono ora gli stessi Vescovi presidenti, in una nota congiunta. Se molti Stati nel frattempo hanno deciso di abolirla (New York, New Jersey, New Mexico, Illinois, Connecticut, Maryland e Nebraska), «tuttavia c’è ancora molto da fare». «La pena di morte è inammissibile, si tratta di un reato contro l'inviolabilità della vita e della dignità della persona umana», scrivono citando la lettera di papa Francesco indirizzata nel marzo scorso a Federico Mayor, presidente della Commissione internazionale contro la pena di morte. La fede cattolica offre una prospettiva unica sul crimine e sulla punizione, una prospettiva basata sulla misericordia e sulla salvezza, non su una condanna in se stessa, mentre la pena di morte elimina ogni prospettiva di conversione dell’anima della persona condannata per aprirla ad una vita nuova. «Se la società può proteggere se stessa senza porre fine ad una vita umana, allora deve farlo, perché oggi c’è questa capacità».

I Vescovi non mancano di esprimere affetto, solidarietà e vicinanza alle vittime dei crimini ed alle loro famiglie, tuttavia è forte anche l’invito a «riconoscere la dignità umana di coloro che hanno commesso un reato, poiché anche quando devono pagare il loro debito alla società, essi devono riceve compassione e misericordia”.

«Come cristiani – conclude la Nota – siamo chiamati ad opporci alla cultura della morte testimoniando qualcosa di più grande che offre pienezza: il Vangelo della vita, della speranza e della misericordia».

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