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martedì 7 luglio 2015

Immigrazione: è nato il popolo degli apolidi, 10 milioni senza patria e senza diritti

La Repubblica
L'esodo biblico di 60 milioni di uomini, donne e bambini ha creato una nuova, immensa comunità nel consesso internazionale. Uno su sei non ha più identità, cittadinanza, sostegno dal welfare, diritto allo studio e alla salute. Una vera nazione che vive ammassata nei campi profughi, nei centri di identificazione, in quelli della Croce rossa e dalla Caritas. Sopportata ma esclusa dai paesi ospitanti, cerca scampo e un futuro lungo quelle che sono chiamate le 7 rotte della Speranza. Ve le raccontiamo.

La nazione invisibile
La nazione invisibile non esiste e non esistono i suoi cittadini. Ma esiste una marea umana che si muove alla ricerca di un posto che li accolga. Sono circa 60 milioni di persone, uomini, donne, minori, la maggior costretti a migrare per motivi economici. Di questi 11,7 milioni scappano dal proprio paese a causa di guerre e persecuzioni. Alcuni nella fuga perdono, oltre alla propria casa, anche il diritto di cittadinanza. Ci sono poi 10 milioni di persone nel mondo per cui l'apolidia resterà uno status insuperabile. Senza documenti la vita è difficile. Non si può lavorare, se non al nero. Non si può accedere alle cure, a parte i ricoveri urgenti. Non ci si può sposare né si possono seguire percorsi di formazione. Non si hanno diritti, almeno tutti quelli garantiti da una cittadinanza. Il grado zero. Tutti iniziano da un grado zero: la maggior parte di coloro che fugge da guerre e persecuzioni non ha documenti. Quando poi arrivano nel paese ospite, con mezzi di fortuna o per vie al 99% illegali, si trovano a dover affrontare il mostro della burocrazia. Si parte con una domanda di asilo in cui si dichiara, tramite autocertificazione, la propria provenienza, i dati anagrafici e il motivo della fuga. Poi la pratica deve seguire il suo iter e in Italia la disamina tocca alle Commissioni territoriali, che attraverso un'intervista approfondita dovranno riconoscere lo status di rifugiato. Ma l'attesa per un appuntamento può durare mesi, a volte addirittura anni, durante i quali la loro vita sarà a ricasco di organizzazioni umanitarie e sistemi assistenziali. In Europa e Nord America sono circa 900 mila le domande di asilo in attesa di una risposta ufficiale. Requisiti. Capita poi che il richiedente non sia in possesso dei requisiti giusti per ottenere lo status di rifugiato.

Nel 2014, secondo i dati Cir, su 64.886 domande presentate solo il 50% è stato esaminato e di queste 36.330 solo 21.861 hanno avuto un responso positivo. Il restante 37% ha visto rifiutata la propria richiesta. Nel frattempo la vita continua. Per chi si ritrova in questa condizione di semi-legalità, in attesa di un responso o con il visto negato, non resta che arrangiarsi con permessi temporanei, in attesa dei ricorsi al Tribunale, che permettono di prendere tempo, aspettando che arrivi una sanatoria o il miracolo di un santo qualsiasi. Diverso iter. Ancora più marginale rimane la posizione degli apolidi, i quali senza volerlo hanno scarsissime possibilità di vedere riconosciuto ufficialmente il loro status. L'apolide infatti, nonostante abbia il diritto di veder riconosciuta la propria condizione e successivamente di acquisire la cittadinanza italiana, segue un iter diverso per l'istruttoria. Proprio loro, a cui per definizione manca un riconoscimento giuridico documentato, devono produrre prove documentali della loro residenza sul territorio. Questo paradosso crea ovviamente enormi difficoltà per la domanda. Dai dati del Ministero dell'Interno risulta, infatti, che negli ultimi 10 anni solo l'1% delle domande di certificazione presentate in via amministrativa è stata accolta. Il riconoscimento dell'apolidia ottenuto tramite questo percorso è infatti precluso a tutti coloro che non possiedono, cumulativamente, un titolo di soggiorno in Italia, un certificato di nascita e un certificato di residenza. Altra strada percorribile sarebbe quella giudiziale, ma ha un costo spesso troppo elevato per chi si trova a doverla affrontare. In entrambe i casi alla base c'è una grossa carenza di informazioni. Disinformazione. Helena Behr, dell'Unhcr, l'Agenzia Onu per i rifugiati, è chiara in proposito: "Uno dei problemi iniziali sembra essere proprio la disinformazione.

Nonostante in Italia ci siano due procedure per il riconoscimento dello status di apolide di fatto, per molte persone continua ad essere difficile ottenerlo, vuoi per mancanza di informazioni o a causa di ostacoli normativi e burocratici. Le persone possono aspettare anche molti anni per avere una risposta e nel frattempo rimangono in una situazione di vulnerabilità e marginalità". Eppure l'apolidia si potrebbe facilmente eliminare: "Per questo - continua Behr - l'Unhcr insieme alla Commissione Diritti Umani del Senato e al Cir sta lavorando a un disegno di legge che preveda un intervento risolutivo, in grado di eliminare il problema dell'apolidia nell'arco di soli 10 anni". Un traguardo ambizioso ma non impossibile. L'Unhcr ha presentato nel novembre del 2014 la campagna informativa IBelong per focalizzare il paradosso dell'apolidia: "Senza una cittadinanza - spiega ancora Behr - non si hanno garantiti molti diritti, come quello allo studio, al lavoro, alle cure, alla libera circolazione. Ma sono solo questi diritti che ti rendono un cittadino a tutti gli effetti".

Senza più patria e senza documenti, i racconti degli apolidi
Ostacoli e pregiudizi. Esiste poi un altro motivo che rende così difficile il riconoscimento dell'apolidia e che si lega a un'innata disaffezione verso l'autorità e le sue leggi: chi esce finalmente dal cono dell'invisibilità deve affrontare nuovi ostacoli e vecchi pregiudizi. Il caso dei Rom e dei Sinti è in questo senso esemplare. Giunti sul nostro territorio durante i primi anni 90, in seguito alla guerra nella ex-Jugoslavia, sostenuta pienamente dall'ex-governo D'Alema, molti di loro hanno visto dissolversi la propria nazionalità insieme alla propria casa dall'oggi al domani. In Europa il numero di apolidi è di circa 600 mila, dato non facilmente riscontrabile per mancanza di statistiche ufficiali. In Italia le persone prive di cittadinanza sono circa 15.000, quasi tutti di etnia Rom, ma potrebbero essere molte di più. Di queste solo 813 hanno ottenuto il riconoscimento giuridico dello status di apolide fino ad oggi.

Nonostante l'Italia sia uno dei 14 paesi nel mondo che abbia sottoscritto la Convenzione sullo status di apolide del 1954 - dove si indicano le procedure per tale riconoscimento - la mancata adesione della successiva Convenzione sulla riduzione dell'apolidia del 1961 ha resto finora zoppo il sistema. Questo comporta come primo problema l'ereditarietà della condizione di apolide da parte dei minori. In teoria esisterebbe una disposizione, contenuta nell'art.1 della lg n.91/92, che supererebbe de facto lo ius sanguinis. Tuttavia, molti degli apolidi nati nel nostro paese incontrano diversi ostacoli nel dimostrare che non hanno acquisito o che non possono acquisire nessuna nazionalità da parte dei due genitori. Se a loro volta questi non hanno ufficializzato il proprio status di apolidi i documenti necessari per certificare la non appartenenza a nessuno stato, l'iter si perde in una giungla di uffici consolari, ambasciate e registri anagrafici. Un inferno kafkiano insomma. Risultato: i minori privi di una cittadinanza in tutta Europa sono nell'ordine di migliaia, ma l'assenza di un censimento ufficiale li rende dei fantasmi.

Cittadinanza. La lunga strada per l'acquisizione di una cittadinanza non finisce qui. La possibilità di richiederla infatti arriva dopo 5 anni nel caso di rifugiati e apolidi che abbiano superato il primo passaggio del riconoscimento ufficiale, 10 anni per i migranti che risiedono regolarmente sul territorio. Fino al 18 giugno di quest'anno però le richieste erano rallentate da un ulteriore imbuto. Salvatore Fachile, avvocato dell'Asgi, ha dovuto affrontare questo problema per diversi casi: "L'appuntamento telematico con la prefettura era infatti negato dal sito del Ministero degli Interni, e a causa di questo disservizio le domande si sono accumulate per mesi". Ora finalmente è possibile presentare la richiesta di cittadinanza direttamente on line. Ma questo è solo l'inizio. Si devono aspettare minimo dai 2 ai 6, a volte 8 anni, prima di una risposta: "Frequentemente si deve fare ricorso per sollecitare la propria pratica - continua Fachile - che altrimenti giacerebbe per chissà quanti anni ancora prima di essere vagliata".

Verdetto finale. Infine il verdetto finale. Sempre secondo l'ASGI un numero crescente di domande subirebbe un diniego a causa di presunte vicinanze del richiedente con gruppi estremisti. "Frutto di indagini superficiali dei nostri servizi segreti" commenta Salvatore Fachile "Almeno secondo il verdetto espresso dal Consiglio di Stato che ha seguito fino in fondo alcune delle pratiche per cui è stato presentato ricorso". Chi riesce ad arrivare al traguardo è da ritenersi fortunato: oltre 100.000 nel 2013, 65.000 nel 2012. "Un trend comunque in crescita - conclude Fachile - ma che affonda le radici nei flussi migratori risalenti agli anni 90. Il futuro lo stiamo vivendo ora, e non sembra così roseo".

di Alice Gussoni

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