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sabato 31 gennaio 2015

Siria, Boutros Marayati; «Aleppo sta morendo, siamo allo stremo»

Avvenire
Aleppo sta morendo. «Siamo allo stremo, senza più gas e benzina, con l’elettricità per un’ora al giorno e l’acqua che arriva nelle case solo quando lo decidono i jihadisti che hanno il controllo di due terzi del territorio cittadino e anche delle fonti idriche». È la drammatica testimonianza dell’arcivescovo degli Armeni cattolici della città siriana, monsignor Boutros Marayati. 


Il presule è intervenuto ieri alla proiezione del documentario Syria’s Christian Exodus, realizzato dalla regista Elisabetta Valgiusti nelle zone colpite dalla guerra che sta incendiando l’area al confine tra Siria e Iraq.

Così la forza delle parole dell’arcivescovo si è sovrapposta a quella delle immagini, per raccontare una tragedia che sta mietendo vittime, causando un esodo di proporzioni davvero bibliche e, oltre tutto, sta seriamente danneggiando chiese e monumenti.

«Hanno bombardato anche la nostra cattedrale di Aleppo», sottolinea monsignor Marayati. E nel documentario il patriarca melchita Gregorios III Laham afferma che sono 91 finora le chiese distrutte in tutta la Siria. La proiezione di ieri, svoltasi nella sede del Pontificio Istituto Orientale di Roma (presente padre Philippe Luisier, decano della Facoltà di Scienze ecclesiastiche Orientali, che ha portato il saluto dell’istituzione ospitante), è servita anche a fare il punto della difficile situazione dei cristiani nella regione.

«Prima dell’inizio della guerra – afferma Marayati – c’erano 60mila cattolici ad Aleppo, oggi sono solo 20mila. Gli abitanti della città sono diminuiti da 120mila a 40mila. Non si può continuare con questa politica di far andar via i cristiani». 

È forse in atto una sorta di pulizia etnica? «Non posso dire questo – risponde l’arcivescovo – ma è un fatto che i cristiani vengono messi nelle condizioni di fuggire. E questo è tanto più grave se si considera che la nostra è la terra dove San Paolo ebbe la sua conversione e dove – nella vicina Antiochia – i discepoli di Gesù per la prima volta furono chiamati cristiani». Marayati, incontrando i giornalisti prima della proiezione, ha lanciato un appello: «Basta con la guerra e la violenza. Fermiamo anche la vendita di armi agli jihadisti. Tutto ciò è folle, non si può continuare su questa strada. Dopo 4 anni ci chiediamo a cosa serva questa guerra. Ci era stato detto che era la Primavera araba, ma ha portato solo lutti e distruzioni. Ci era stato detto che veniva fatta in nome della libertà e della democrazia, ma per ora non abbiamo né l’una, né l’altra. Basta, fermiamo le armi».

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Bulgaria, protestano i rifugiati siriani senza riparo tra raid xenofobi e accoglienza disumana

La Repubblica
Un giovane è morto nel centro di Ovcha Kupel "per mancanza di cure" e altri sono stati accoltellati intorno al famigerato campo di Harmanli in attacchi razzisti, effettuati con coltelli e pietre. Lo denunciano gli stessi richiedenti asilo che hanno diffuso le immagini. La ribellione nei campi profughi tra caccia anti-immigrati e blocco delle vie di fuga. Il muro di 82 Km
Oma - Gli occhi e la bocca spalancati. Il colore freddo della morte sul volto. Il corpo adagiato direttamente sul pavimento, con un cuscino sotto la nuca e una povera coperta a nascondere il resto del corpo. È morto così Khaled Hassan, un ragazzo siriano poco più che ventenne, in un centro di accoglienza in Bulgaria. La foto scattata da altri rifugiati siriani dello stesso campo di Ovcha Kupel, nei pressi di Sofia, è stata inviata ad attivisti italiani. Quel giovane con la bocca aperta ma che non può più parlare è il simbolo della situazione drammatica che vivono i rifugiati siriani in Bulgaria, uno dei paesi più poveri dell'Unione europea. Da ormai due anni i siriani protestano, bloccano strade, fanno scioperi della fame, ma la loro voce resta inascoltata dall'Europa, patria del diritto d'asilo.
Gli attacchi dei gruppi neonazisti. Secondo quanto denunciano i profughi, Khaled Hassan è scampato alla guerra siriana e si è invece ammalato nel centro di accoglienza bulgaro, ma non avrebbe ricevuto la necessaria assistenza medica, aggravandosi fino alla morte. L'ambulanza sarebbe stata chiamata troppo tardi e sarebbe arrivata in ritardo. Negli ultimi giorni, hanno raccontato i siriani del campo dell'ex base militare di Harmanli, vicino al confine con la Turchia, in episodi differenti, un profugo somalo e uno siriano sono stati aggrediti e accoltellati in attacchi xenofobi da gruppi neonazisti e lo stesso campo è stato oggetto di un raid notturno con lanci di pietre.

Nel centro il doppio delle persone possibili. I siriani hanno anche diffuso i video delle loro proteste ad Harmanli, in cui si vedono dei cartelli in inglese che chiedono di proteggere le donne e i bambini, terrorizzati da questi assalti. Le violenze contro i richiedenti asilo avvengono nel momento in cui i migranti escono dal campo di Harmanli, un ammasso di tende e container in cui sono stipati oltre mille siriani, di cui 300 bambini, nonostante fosse stato pensato per circa 450 persone. In passato, altri siriani hanno diffuso i video delle manganellate prese dalla polizia bulgara perché si rifiutavano di essere trasferiti da un altro centro all'ormai tristemente noto Harmanli.

Senza riparo. Le famiglie siriane che si salvano dalla guerra o dalle violenze dei jihadisti e cercano rifugio in Europa trovano le vie di fuga sbarrate e un'accoglienza indegna. Dalla Grecia è sempre più difficile passare e se si tenta la via di terra, evitando i tragici viaggi nel Mediterraneo, l'altra rotta passa per la Bulgaria. Ma nei campi bulgari i siriani si trovano in condizioni di sovraffollamento, sovente senza elettricità e spesso con pochissimo cibo.

La crescente xenofobia. La carenza dei minimi standard come le cure mediche e la crescente xenofobia della società bulgara sono noti da tempo. Ad esempio, alla fine del 2013 in un campo profughi di Sofia si erano verificate proteste dopo la morte di un padre di famiglia di 35 anni per arresto cardiaco, che non sarebbe stato soccorso quando lamentava dolori nei giorni precedenti all'infarto. Le autorità bulgare sembrano più impegnate a ostacolare il passaggio dei siriani per ridurre l'immigrazione irregolare che a fare rispettare gli standard per l'asilo secondo le regole europee. Così crescono gli episodi di ribellione nei campi profughi.

L'assenza delle autorità bulgare. Le autorità bulgare continuano ad ammassare gente ad Harmanli nonostante le critiche piovute da ogni dove. Il campo è stato definito "un limbo dalle orribili condizioni" da Amnesty International che lo ha visitato nel 2013 dopo uno sciopero della fame, sottolineando che è incredibile che in Europa i rifugiati siriani si ritrovino in posti del genere, dalle "condizioni deplorabili". Le autorità Bulgare non assicurano i bisogni di base: un alloggio degno, cibo e cure mediche, secondo Amnesty che ha intervistato una donna incinta di sei mesi, la quale non aveva mangiato per due giorni e dormiva sul pavimento.

"I numeri della vergogna". Alla vigilia della conferenza delle Nazioni Unite a Ginevra, il 9 dicembre scorso Amnesty International ha denunciato "la vergognosa risposta del mondo alla crisi dei rifugiati siriani". Secondo l'Ong, i siriani sono stati "lasciati al freddo e abbandonati dalla comunità internazionale". Al centro del dossier i numeri della vergogna: sui quasi quattro milioni di rifugiati siriani, che si trovano in Turchia, Libano, Giordania, Iraq ed Egitto, solo all'1,7 per cento di loro, il resto del mondo ha offerto protezione dall'inizio della crisi nel 2011. L'Unione europea, eccetto la Germania, ha offerto di ospitare lo 0,17 percento dei siriani. Gli stati del Golfo, la Russia e la Cina neanche uno. Negli ultimi tre anni, appena 150mila siriani sono riusciti nell'impresa di raggiungere l'Europa. Un numero pari a quello di gente scappata da Kobane in Turchia in una settimana, sotto l'assedio del gruppo Stato Islamico.
Un muro di 82 chilometri alto 3 metri. A Gennaio 2014 l'Unhcr ha chiesto di sospendere il trasferimento verso la Bulgaria dei richiedenti asilo secondo le regole di Dublino, perché "i richiedenti asilo in Bulgaria corrono il rischio di trattamenti inumani e degradanti a causa delle carenze delle condizioni di accoglienze e delle procedure per l'asilo". Per la Bulgaria si tratta di una crisi dei rifugiati, visto che nel 2013 sono stati 9mila i richiedenti asilo nel paese contro i mille dell'anno precedente. La maggioranza sono siriani che entrano dalla Turchia. Per questo, recentemente il governo di Sofia ha annunciato che intende estendere fino a 82 chilometri il muro alto tre metri coperto di filo spinato lungo il confine turco, per dimezzare gli ingressi illegali nel paese. Un'altra via di fuga viene chiusa. Ai siriani restano solo gli scafisti e il Mediterraneo.

USA - Gov. Kasich issues reprieves that would delay all six of Ohio executions scheduled for 2015

The Blade
Columbus — There will be no executions in Ohio in 2015.
Amid litigation and more changes in how the state carries out lethal injections, Gov. John Kasich today issued a broad swath of reprieves that would delay all six of the executions that had been scheduled for this year.
Among them was William Montgomery, who was convicted in the 1986 murders of two Toledo roommates and had been scheduled to die on Sept. 17. His execution is now set for Aug. 15, 2016.

Ohio has not carried out an execution since January of 2014 when Dennis McGuire, of Montgomery County, became the sole inmate to die via a two-drug process that has since been scrapped. Witnesses had described McGuire as struggling against his restraints and making choking sounds after the drugs began to flow.

A federal court moratorium on executions in Ohio expired two weeks ago, and the inmate next in line was Ronald Phillips, of Summit County, on Feb. 11. But that will be delayed until Jan. 21, 2016.

A new state law that has yet to take effect has been challenged in court. Designed to make it easier for the state to acquire its execution drug of choice, the powerful sedative pentobarbital, the law dangles at least temporary anonymity to compounding pharmacies that would agree to manufacture the drug from scratch now that its European commercial maker has refused to make it available for execution purposes.

The state Department of Rehabilitation and Correction recently announced that it was dropping the two-drug protocol used to put McGuire to death. The state had used intravenous overdoses of midazolam, a powerful barbiturate, and hydromorphone, a narcotic painkiller.

The state’s new plan is to fall back again on single overdoses of pentobarbital or its former preferred drug, the short-acting barbiturate thiopental sodium, assuming they can find supplies of either.

The 2015 delays will also have a domino effect on executions scheduled for 2016. The only other northwest Ohioan for whom an execution date had been set, Cleveland R. Jackson, remains scheduled for July 20, 2016. Jackson is one of two men who opened fire on eight people cornered in a Lima apartment kitchen in 2002, killing two girls ages 3 and 17.

Arabia Saudita: Rinviata ancora una volta seconda sessione di frustate per Raif Badawi

MISNA
Nel giorno in cui le agenzie internazionali danno ampio spazio all’inedito rimpasto di governo operato dal nuovo re, Salman, che ha peraltro rimosso due figli del suo defunto predecessore, Abdullah, la magistratura saudita ha rinviato per la terza volta consecutiva la flagellazione del giornalista e attivista Raif Badawi.

Raif Badawi
Badawi era stato condannato nel settembre scorso dalla Corte d’appello di Gedda a 10 anni di prigione, 1000 frustate, distribuite in 20 settimane in sessioni da 50 l’una, e una multa di 1.000.000 di rial sauditi (circa 196.000 euro), per “insulto all’Islam”. Dopo aver ricevuto le prime 50 frustrate il 9 gennaio, in pubblico, di fronte alla moschea di al-Jafali a Gedda, Badawi si era visto slittare per due volte la sessione seguente per motivi di salute: le ferite delle prime frustate non si erano rimarginate. Non è ancora chiaro il motivo del rinvio odierno.

Senza che ciò abbia avuto alcuna conseguenza politica da parte dell’Occidente e in particolare degli alleati statunitensi – il Nobel per la Pace Barack Obama non ha sollevato il caso con re Salman, che ha incontrato a Riyad questa settimana – le Nazioni Unite hanno definito la fustigazione “come minimo, una forma di punizione crudele e disumana … vietata dal diritto internazionale dei diritti umani, in particolare la Convenzione contro la tortura, che l’Arabia Saudita ha ratificato”.

“È impossibile per un essere umano ricevere 50 colpi di frusta a settimana” ha protestato la moglie di Badawi, Ensaf Haidar, rifugiata in Canada con i loro figli, e assistita da Amnesty International che si batte per la liberazione immediata e senza condizioni di Raif, ricordando che è un prigioniero di coscienza, detenuto solo per aver esercitato il suo diritto alla libertà di espressione.

Badawi, 31 anni, fondatore di “Free Saudi Liberals”, un forum ideato per discutere del ruolo della religione in Arabia Saudita, è detenuto dal 17 giugno 2012 nel carcere di Briman, a Gedda. Il suo avvocato, Waleed Abu al-Khair – ricorda Amnesty International – è anche egli stesso in carcere per scontare una condanna a 15 anni per il suo attivismo pacifico

venerdì 30 gennaio 2015

Attivista Saeed Jaddad dell’Oman in pericolo di vita

Articolo 21
Saeed Jaddad, attivista per i diritti umani dichiarato prigioniero di coscienza da Amnesty International, è in pericolo di vita. Jaddad è accusato di aver “minacciato la reputazione e il prestigio dello stato” solo per aver chiesto riforme sociali e politiche attraverso i social media e aver incontrato, nel 2013, alcuni parlamentari europei.


Arrestato il 10 dicembre 2014, Jaddad è stato interrogato a lungo sulle sue attività in favore dei diritti umani, i suoi contatti con organizzazioni per i diritti umani e le sue attività su Internet. Per 12 giorni, prima di essere rilasciato, ha condiviso una cella infestata da blatte e altri insetti con 21 detenuti comuni ed è stato costretto a dormire sul pavimento.

Il 21 gennaio 2015, Jaddad è stato nuovamente arrestato. Due giorni dopo, ha intrapreso uno sciopero della fame ed è stato immediatamente ricoverato nell’ospedale della città di Salalah. Qui, due medici, uno dei quali nominato dalla polizia, hanno raccomandato che non venisse rimandato in prigione né trasferito nella capitale Muscat per il processo. Il governo dell’Oman la pensa diversamente e sta preparando il trasferimento.

Siria: Il Regno Unito accetta solo 90 rifugiati

Vita.it
Mentre il numero dei profughi siriani supera i 3,7 milioni di persone, a un anno dalla promessa del Ministro degli Interni britannico, di sviluppare un piano più strutturato per l’accoglienza dei rifugiati, il Regno Unito concede lo status ad appena 90 persone, scatenando le proteste dell’opposizione e della società civile
E’ sempre stato in prima linea, Ali Ferzat, il fumettista siriano che ha usato la matita come una tagliente arma di satira che non ha risparmiato nessuno. Nominato da Time, nel 2011, come una delle 100 persone più influenti, Ferzat ha scelto come protagonisti ricorrenti del suo humour graffiante, la politica del medio-oriente e il regime di Assad, tanto che, dopo la caricatura del 2011, che ritraeva il presidente, come un dittatore stanco, seduto su una sedia distrutta, il fumettista è ora costretto a vivere in esilio, in Kuwait.

Questa volta però, a vedere la matita puntata contro di sé, non è un regime anti-democratico, ma la Gran Bretagna. Sotto accusa la decisione del Regno Unito di accettare solamente 90 rifugiati siriani, una scelta definita da Ferzat priva di “morale e di umanità”.

Difficile riuscire a dissentire con convinzione, leggendo il fumetto pubblicato, in prima pagina, sul quotidiano inglese Independent, in cui l’autore descrive la disperata situazione degli oltre 3,7 milioni diprofughi siriani, uomini, donne e bambini, fuggiti dalla Siria, che aspettano ancora un aiuto che stenta ad arrivare.

“Non credo che l’Occidente abbia fatto abbastanza per i rifugiati siriani. Più che altro ha usato la politica del non vedo, non sento e non parlo.” Ha dichiarato Ferzat all’Independent, giornale estremamente critico rispetto alla decisione governativa di accogliere solamente poche decine di persone, che porta l’attenzione sul fatto che proprio giovedì sia passato esattamente un anno da quando il ministro degli interni britannico, Theresa May, aveva ceduto alle pressioni dei laburisti, dei liberal democratici e della società civile, promettendo di sviluppare una strategia di accoglienza strutturata in grado di offrire un aiuto concreto ai rifugiati. Oltre 10 mila persone avevano firmato la campagna di raccolta firme di Amnesty International per chiedere al governo di accogliere più rifugiati. Eppure un anno dopo, i numeri rimangono irrisori.

A replicare alle accuse, il portavoce del ministro degli interni: “Il Regno Unito è stato in prima fila nelle iniziative internazionali di risposta alla crisi, impegnandosi a stanziare 700 milioni di sterline per gli aiuti umanitari. Abbiamo garantito l’asilo e altre forme di permesso a oltre 3,400 cittadini siriani. Inoltre stiamo lavorando con l’Alto Commissariato per i rifugiati per identificare le persone più a rischio e accoglierle in Gran Bretagna”.

Eppure, secondo Amnesty International UK, non è abbastanza. Proprio giovedì, l’organizzazione ha lanciato un appello per chiedere ai Paesi europei di concedere lo status di rifugiato al 10% dei profughi siriani entro la fine del 2016.

Secondo l’UNHCR, in Italia, nel 2014, sono arrivate in Italia, oltre 87 mila persone, la maggior parte provenienti da Siria ed Eritrea. Ma l’Italia rimane, per la maggior parte, solo, un luogo di transito. Le mete principali rimangono i Paesi del nord Europa. Nel 2014, la Svezia, ha ricevuto oltre 25 mila richieste d’asilo, la maggior parte da cittadini siriani, il 60% delle quali sono state accolte, mentre la Germania , seconda meta per i profughi siriani in Europa, ha ricevuto oltre 12 mila domande d’asilo, il doppio rispetto al 2013.

di Ottavia Spaggiari

USA pena di morte: la Corte suprema autorizza l'esecuzione di un disabile mentale in Texas

Askanews
La Corte suprema ha autorizzato nuovamente l'esecuzione di un handicappato mentale, questa volta in Texas. Robert Ladd, un nero di 57 anni, dotato di un QI pari a 67, è stato giustiziato con un'iniezione letale alle 19.02 di ieri, ora locale, nella camera della morte del carcere di Huntsville. 

Robert Ladd
L'esecuzione è avvenuta poco dopo il secondo rifiuto della Corte di rivedere la sua condanna. Ladd era stato condannato a morte per lo stupro e l'omicidio di una ragazza nel settembre 1996, mentre si trovava in libertà condizionale dopo 16 anni di carcere per l'assassinio di una donna e dei suoi due bambini. Martedì la Corte Suprema aveva consentito l'esecuzione di un altro handicappato mentale in Georgia. Si tratta della sesta esecuzione dall'inizio dell'anno negli Stati Uniti, la seconda nel Texas, che da solo ha giustiziato 520 detenuti dal 1976.

Eritrea: Usa; bene rilascio 6 giornalisti, ma 17 ancora detenuti, servono misure per tutti

Askanews
Gli Stati Uniti hanno accolto con favore la notizia del rilascio di sei giornalisti in Eritrea, diffusa nei giorni scorsi da Reporters senza frontiere, ricordando però che "il governo continua a detenere altri giornalisti, che dovrebbero essere 17". 

Il 23 gennaio scorso Reporters senza Frontiere ha riferito della liberazione di Bereket Misghina, Yirgalem Fisseha Mebrahtu e Basilios Zemo di Radio Bana, di Meles Negusse Kiflu, che lavorava per Radio Bana e Radio Zara, di Girmay Abraham di Radio Dimtsi Hafash e di Petros Teferi, arrestati durante una retata nel febbraio 2009.

In una nota diffusa dal Dipartimento di Stato Usa, Washington "invita il governo ad adottare misure immediate per gli altri giornalisti detenuti, per tutte le persone incarcerate per il loro credo religioso, per i membri del G-15 (si tratta delle personalità che si opposero alla decisione del presidente Isaias Afewerki di rinviare le elezioni e non adottare la costituzione, di cui 11 vennero arrestate nel settembre 2001, ndr) e per tutti gli altri prigionieri politici". Nella nota, "gli Stati Uniti continuano a invitare il governo eritreo ad adottare misure per il rispetto dei diritti umani e di concedere ai propri cittadini le loro libertà fondamentali".

giovedì 29 gennaio 2015

Indonesia - Negato perdono presidenziale, verso nuove fucilazioni di stranieri

MISNA
Nonostante le pressioni internazionali, si avvicinano le esecuzioni di sette cittadini stranieri condannati per reati di droga. Tra questi i due cittadini australiani considerati capi dell’organizzazione di trafficanti “Bali Nine”, imprigionati dal 2005, a cui il presidente Joko Widodo ha negato la grazia.
Oltre a Andrew Chan e Myuran Sukumaran l’avvocatura di stato ha fatto sapere che altri cinque stranieri e quattro indonesiani hanno perduto l’appello. Si tratta di cittadini francesi, brasiliani, nigeriani e del Ghana.

Sono 11 al momento i condannati in procinto di essere portati davanti al plotone d’esecuzione. Una decisioni sulla data e sul luogo non è stata ancora presa, ma le autorità hanno fatto sapere che saranno almeno due quelli coinvolti nella prossima tornata di esecuzioni dopo quella del 17 dicembre 2014 in cui furono fucilati cinque stranieri e un indonesiano. 

Allora, il richiamo degli ambasciatori brasiliano e olandese è stato un avvertimento per possibili altre mosse diplomatiche se le esecuzioni dovessero proseguire, tuttavia il presidente ha nei giorni scorsi confermato che la politica punitiva di Jakarta verso chi si rende colpevole nel paese di crimini connessi con gli stupefacenti proseguirà invariata.

Secondo i dati Onu sono 4,6 milioni i tossicodipendenti in Indonesia e di questi 600mila nella sola area della capitale. Un fenomeno che interessa in maggioranza giovani, spesso studenti e sovente di ceto medio. Il 40% dei 140.000 ospiti delle carceri indonesiane sono condannati o in attesa di giudizio per reati di droga. Per le autorità sanitarie indonesiane, sostanze stupefacenti sono responsabili dell’1% delle morti registrate ogni anno tra gli indonesiani adulti.

L’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO) ha emesso la "Guida al salvataggio in mare" per migranti e rifugiati

Il Nautilus
Londra – L’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO) ha emesso gli aggiornamenti alla Guida al salvataggio in mare dei rifugiati e dei migranti. Secondo i dati disponibili, il 2014 è stato un anno record per alta migrazione clandestina in mare; fenomeno, quello dei migranti, che ha messo a repentaglio vite umane ed ha messo a dura prova i servizi di salvataggio sia di terra che di bordo di navi mercantili.

La guida è stata preparata congiuntamente dall’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO), l’International Chamber of Shipping (ICS) e l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). 

La guida, su disposizioni di legge, fornisce linee operative sulle procedure pratiche per garantire il pronto sbarco delle persone soccorse, e sulle misure per soddisfare le loro specifiche esigenze, in particolare nel caso di rifugiati e richiedenti asilo politico

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Abele Carruezzo

Japón mantendrá la pena de muerte por el alto apoyo popular

EFE
Tokio - Japón continuará aplicando la pena capital ante el apoyo de más del 80 por ciento de la población, aseguró la ministra de Justicia nipona Yoko Kamikawa en declaraciones recogidas hoy por diarios locales.
La titular de Justicia hizo referencia a la última encuesta realizada por el Gobierno japonés, que concluyó que el 80,3 por ciento de los encuestados se muestran a favor de la pena de muerte, frene al 9,7 por ciento que cree que debe ser abolida.
Kamikawa tildó de "positivos" los resultados, y dijo que continuarían llevándose a cabo medidas "cuidadosas y estrictas" en el momento de las ejecuciones.
La ministra aseguro que no tiene intención de revisar dicha política a corto plazo, a pesar de que se haya plantado alguna vez la posible introducción de la cadena perpetua sin libertad condicional.
"La mayoría de la gente cree que es inevitable para aquellos que cometieron crímenes extremadamente maliciosos hacer frente (a la ejecución)", añadió la ministra en declaraciones recogidas por el diario Asahi.
Kamikawa también hizo referencia a la tendencia global de la abolición de la pena de muerte y las peticiones de los activistas para que Japón, donde se han ejecutado once reos desde la llegada al poder del actual Gobierno en diciembre de 2012, adopte esta política.
Ante ello respondió que se trata de una cuestión asociada a la identidad del país, y que por ello es "asunto del pueblo japonés".
Japón, que junto con Estados Unidos es el único país democrático y desarrollado que todavía aplica la pena capital, ejecuta en la horca a los condenados sin previo aviso y sin testigos, tal y como dispone el código penal nipón.
El pasado mes de marzo, el debate sobre la pena de muerte en Japón se reabrió debido al caso de Iwao Hakamada, quien fue liberado tras pasar 46 años en el corredor de la muerte y que un tribunal decidiera revisar su condena al tener en cuenta nuevas pruebas sobre el asesinato múltiple que se le imputaba.

Map: How the flow of foreign fighters to Iraq and Syria has surged since October

The Washington Post
Foreigh fighters flow to Syria

USA - Pena di morte, la Corte Suprema ferma tre esecuzioni in Oklahoma

Corriere della Sera
La decisione dopo il ricorso di tre detenuti contro il farmaco utilizzato per il procedimento: potrebbe non essere abbastanza potente da eliminare il dolore

La Corte Suprema USA
La Corte Suprema ha ordinato all’Oklahoma di rinviare le prossime tre esecuzioni previste fino a quando non sarà presa una decisione sul controverso farmaco usato per il procedimento, che potrebbe violare il divieto, imposto dalla Costituzione americana, di punizioni “troppo” crudeli. 

La sentenza arriva dopo il ricorso di tre condannati a morte che si erano rivolti alla Corte per far fermare le esecuzioni, previste da qui a marzo. In attesa della decisione dei giudici, lo stato dell’Oklahoma(che continua a sostenere che il farmaco utilizzato è giusto) voleva comunque procedere con le esecuzioni usando un altro farmaco, ma la Corte Suprema ha respinto la richiesta. Questo significa che Richard Glossip, John Grant e Benjamin Cole, ritenuti colpevoli di assassinio, non andranno nel braccio della morte. Glossip, accusato di aver ordinato l’assassinio del suo capo nel 1997, doveva morire giovedì prossimo. L’esecuzione di Grant era prevista per il 19 febbraio e quella di Cole, accusato di avere ucciso la sua bambina di nove anni, per il 5 marzo.

Sedativo sotto processo
«Si ordina che le esecuzioni, dove è previsto l’uso del midazolam, siano bloccate in attesa della disposizione finale sul caso», si legge nella decisione della Corte Suprema. Lo scorso venerdì i giudici hanno accettato la richiesta dei tre detenuti e deciso di verificare se il sedativo midazolam possa essere utilizzato nelle esecuzioni a seguito dei timori che non produca un profondo stato comatoso e di incoscienza come è accaduto nelle esecuzioni avvenute in Arizona, Ohio e Oklahoma. 

Il caso sarà discusso ad aprile e una decisione è attesa per giugno. Il midazolam è sotto accusa dall’aprile 2014, dopo l’esecuzione di Clayton Lockett: in quel caso il condannato, dato per incosciente, aveva cominciato ad agitarsi e urlare perché la vena dove dove essere iniettato il mix di farmaci letali era scoppiata, poi è morto d’infarto. La Casa Bianca in quell’occasione aveva commentato: «Nel caso di Lockett non sono stati rispettati gli standard di umanità necessari».
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mercoledì 28 gennaio 2015

Liberia ebola: migliaia di orfani, la presidente chiede aiuto

MISNA
Solo in Liberia i bambini rimasti orfani a causa dell’epidemia di ebola sono 3000: lo ha detto la presidente Ellen Johnson-Sirleaf, sottolineando la necessità di un impegno di assistenza sociale che vada al di là dell’emergenza sanitaria.
Ebola ha reso orfani 3000 bambini, che ora hanno bisogno di sostegno” ha affermato il capo dello Stato, evidenziando d’altra parte i progressi delle ultime settimane nella lotta contro il virus. Secondo Sirleaf, non si registrano nuovi contagi in 13 dei 15 distretti della Liberia ed è possibile che non vi siano più casi già entro fine febbraio.

Nell’ultimo anno in Africa occidentale l’epidemia di ebola ha causato oltre 9000 vittime, perlopiù in Liberia, Sierra Leone e Guinea.

Francia: allarme Islam nelle carceri? Solo una patacca, i soggetti a rischio sono pochi

Il Garantista
Il dibattito sul radicalismo islamico in carcere è di grande attualità in Francia. In un articolo del giornale francese Le Monde viene riportata la testimonianza di una guardia penitenziaria dove racconta dettagliatamente le cause di questa radicalizzazione. 

Dal 7 al 9 gennaio scorso, il carcere di massima sicurezza di Condé-sur-Sarthe ha vissuto delle crisi di gloria di alcuni detenuti esaltati dagli attacchi terroristici parigini. Tuttavia, secondo Emmanuel Guimaraes

- il poliziotto penitenziario nel carcere intervistato da Le Monde - "il rifiuto dell'autorità e dei valori della Repubblica" da parte di quei detenuti che si dicono musulmani è lungi dall'essere una novità. Questo tipo di incidenti sembra legato molto ai fatti d'attualità, "come le tensioni scoppiate in occasione dell'ultimo conflitto israelo-palestinese a Gaza", spiega sempre Guimaraes.

Il resto del tempo, le tensioni tra detenuti, soprattutto negli spazi condivisi, sono banali. In diverse prigioni francesi, gli agenti raccontano gli stessi aneddoti: le vessazioni inflitte a chi fuma o a chi ascolta la musica; gli appelli alla preghiera; gli incitamenti a leggere il corano; il proselitismo ai detenuti più isolati. A forza di vedere conversioni e radicalizzazione nel carcere, Guimaraes parla dell'Islam in prigione come "una sorta di moda". "Alcuni ci dicono che Allah ci punirà, anche se non sono musulmani. Altri sono solo arrabbiati, altri ancora voglio avere dei privilegi", racconta l'agente. "Tuttavia, la maggior parte si converte per starsene in pace", dichiara l'agente.

Liberato da un anno, Franck Steiger ha scontato sei anni in otto diverse prigioni francesi. È ateo e - interpellato sempre da Le Monde - ha detto di aver vissuto i suoi anni di detenzione "in minoranza". "I musulmani hanno il monopolio. Per non avere problemi, molti si convertono per far parte della banda", afferma. Secondo Steiger, le condizioni di prigionia sono determinanti; "La mancanza di rispetto, le violenze, le misure di ritorsione: tutto questo produce l'odio e la voglia di fare ricorso alla religione", afferma con rabbia.

Invece per Missoum Chaoui, cappellano carcerario in Ile-de-France, il "pericolo" è l'assenza di un referente musulmano in un'istituzione che lascia aperta la strada agli "imam autoproclamati". La religione diventa per molti un mezzo per porsi al centro di un universo carcerario in cui molti detenuti non hanno alcun riparo. "Si trovano in uno stato di debolezza e precarietà, hanno bisogno d'ascolto e di disciplina per non andare alla deriva", commenta Chaoui al quotidiano francese. "Alcuni sono più psichiatri che islamisti.

I radicali sono molto pochi e non rappresentano affatto i musulmani di Francia", conclude il cappellano. Secondo il ministero della Giustizia, gli effettivi sospettati sono 152, per la maggior parte in Ile-de-France.

In quattro anni, Abdelhafid Laribi, cappellano permanente presso il carcere di Nanterre, dice sempre a Le Monde di non essersi mai confrontato con nessuno di loro; "C'era un convertito che non aveva alcuna nozione di base dell'islam. Ho provato a parlare con lui, ma non ha voluto capire. Non è mai più venuto. In questi casi, non si può fare nulla, solo evitare che altri cadano in questo radicalismo", racconta. Quando invece incontra chi "vacilla", allora si tratta di "seminare il dubbio nello spirito, evocare altri punti di vista, con pazienza e pedagogia, per convincerli", spiega Laribi.

A gennaio, i cappellani carcerari musulmani erano 182, contro 680 cattolici e 71 ebrei. La loro presenza è stata incrementata negli ultimi due anni "al fine di tranquillizzare la detenzione e diffondere un islam illuminato", ha indicato il ministero della giustizia francese. Altri 60 cappellani verranno reclutati nell'arco dei prossimi tre anni. "Manca la volontà politica, mentre noi siamo là per evitare il radicalismo. Se la situazione non cambia, peggiorerà", conclude amaramente Laribi.

di Damiano Aliprandi

USA - Death Penalty - Georgia executes Warren Lee Hill mentally disabled

NBC News
A two-time killer was denied a last-minute reprieve by the U.S. Supreme Court on Tuesday night after he challenged Georgia's uniquely strict standard for intellectual disability.

 Warren Lee Hill
The execution of Warren Lee Hill for the 1990 murder of a fellow prison inmate was carried out at 7:55 pm in Jackson, Georgia.

Warren Lee Hill's lawyers claimed the 54-year-old had the mental capacity of a child — but the state said that wasn't proven beyond a reasonable doubt, as it requires.

"Today, the Court has unconscionably allowed a grotesque miscarriage of justice to occur in Georgia," Hill's lawyer, Brian Kammer said after the ruling. "Georgia has been allowed to execute an unquestionably intellectually disabled man, Warren Hill, in direct contravention of the Court's clear precedent prohibiting such cruelty."

Hill's lawyers had hoped a Supreme Court ruling last year on Florida's standard for disability could be used to show that Georgia's standards is unconstitutional. The justices rejected that argument with two dissents.

Hill was sentenced to death for the fatal beating of a fellow inmate in 1990.

He was already serving a life sentence for murdering his girlfriend five years earlier.

His lethal injection was first scheduled in 2012 and had been postponed three times for various appeals.

"This execution is an abomination," Kammer added. "Like the execution of Jerome Bowden in 1986, the memory of Mr. Hill's illegal execution will live on as a moral stain on the people of this State and on the courts that allowed this to happen."

Messico - Mistero sugli studenti scomparsi, per il governo messicano «sono morti»

Corriere della Sera
Ma fino ad oggi è stata identificata una sola vittima

Washington - Per il governo messicano non ci sono più dubbi: i 43 studenti scomparsi a Iguala alla fine di settembre sono deceduti. A ucciderli una banda di narcos del gruppo Guerreros Unidos con l’aiuto di agenti collusi. A ordinare la strage il sindaco Josè Abarca e la moglie Maria. Molti hanno però dubbi sulla versione ripetuta dal segretario alla Giustizia Jesus Murillo Karam. Annuncio che segue l’arresto di un altro esponente criminale, Felipe Salgado, indicato come uno dei boss della banda.

Assassinati e bruciati
La tesi delle autorità è che i giovani, dopo essere stati sequestrati la sera del 26 settembre, sono assassinati e i loro corpi bruciati. Quindi i resti sono stati sparpagliati tra fosse comuni e le acque di un torrente. Ma fino ad oggi è stata identificata solo una vittima. Il governo ha inviato dei reperti ad un famoso laboratorio austriaco, l’Istituto di medicina forense di Vienna, in modo da avere un parere indipendente. La risposta è stata la seguente: è impossibile estrarre il Dna dai resti, il calore ha distrutto tutto. Parere non diverso da quello degli antropologi argentini, un team molto noto, impegnato su casi difficili di desaparecidos.

Oppure inceneriti in un forno crematorio
Due ricercatori dell’Università di Città del Messico hanno sostenuto che la ricostruzione del governo non regge. Il piccolo gruppo di narcos - in base a calcoli tecnici - non avrebbe mai potuto distruggere in un tempo ridotto i 43 cadaveri. Ci sarebbero volute tonnellate di copertoni e legna per farlo. Dunque ipotizzano che i giovani siano stati inceneriti in qualche forno crematorio a disposizione dell’esercito o di qualche privato.
I sospetti sui militari
Un altro aspetto riguarda proprio i militari. Non sono pochi coloro che sospettano qualche forma di coinvolgimento dei reparti dell’esercito della regione di Iguala. E’ vero che l’attacco contro gli studenti è stato portato dai Guerreros Unidos con l’assistenza della polizia, però sembra impossibile che i soldati non siano accorti di nulla. L’episodio ha avuto per protagonisti dozzine di persone, vittime carnefici. Possibile che nessuna pattuglia abbia visto nulla? La risposta è scontata: forse hanno preferito guardare da un’altra parte. Oppure hanno «coperto» un massacro orrendo.

martedì 27 gennaio 2015

Turchia: aperto il più grande campo profughi del Paese. Ospiterà 35.000 rifugiati.

Arab Press
La Turchia ha aperto il suo più grande campo profughi, che ospiterà 35.000 rifugiati provenienti principalmente da Kobane, la città siro-curda da mesi contesa tra combattenti peshmerga e Daish (conosciuto in Occidente come ISIS).

Il nuovo campo è situato nella città di Suruc, nei pressi della frontiera sud-orientale, e comprende 7 cliniche mediche, 2 ospedali e aule che contengono almeno 10.000 bambini.

Siria: "Salvate i superstiti", più di 80mila i detenuti spariti. Testimonianze: tortura nelle carceri

Il Garantista
Solo di 215.000 si conosce l'identità. Spesso alcuni dispersi tornano dalla famiglia che li riteneva morti. Sembravano banconote da 500 lire siriane, piegate e abbandonate negli angoli delle vie di Damasco. Una volta aperti, i foglietti si rivelavano volantini della campagna Inquzu al baqia, "Salvate i Superstiti".

Siamo a dicembre del 2014 e un gruppo di attivisti vuol riaccendere i riflettori sulla questione dei prigionieri e dei dispersi dall'inizio della rivolta contro Assad, dal marzo del 2011. "Sono 215.000 i detenuti di cui si ha certezza nelle carceri del regime, lo ha verificato sulla base agli standard internazionali, il Syrian Network for Human Rights (SN4HR)" ci dice Susan Ahmad, la portavoce della campagna. Numeri che si riferiscono ad un rapporto del SN4HR dell'aprile del 2013, l'ultimo che è stato possibile realizzare, e riguardano solo le persone di cui sono noti il nome, la data e le circostanze dell'arresto.

Nello stesso rapporto di parla di 80.000 persone sparite, ma questo numero, come quello dei prigionieri, è ben al di sotto di quello reale. "In molti casi non possiamo registrare gli arresti sommari o le detenzioni perché i parenti hanno paura di parlarne" prosegue la Ahmad "I prigionieri non sono arrestati in virtù di un crimine, tutt'altro.

Non sono rari i casi di arresti arbitrari e casuali ai check point, è persino nato un mercato intorno agli arresti: quando una persona viene presa, spesso i famigliari vengono contattati e ricattati da militari che si offrono di "aiutare" a far uscire il loro caro in cambio di una ricompensa a sei zeri. Ci sono famiglie che hanno venduto casa e rinunciato a tutto, per poi scoprire che loro figlio era morto sotto tortura da tempo".

Capita anche il contrario: quando il regime comunica la morte di un detenuto, i famigliari devono recarsi a recuperare la carta d'identità della vittima e firmare, volenti o nolenti, una dichiarazione in cui si dice che il loro congiunto è morto per cause naturali, rinunciando quindi ad ogni ipotesi di rivalsa legale. "Spesso il cadavere non viene consegnato ed è accaduto più volte che un prigioniero dato per morto bussasse alla porta di casa dopo mesi. Sono migliaia le famiglie che non hanno certezza della morte dei loro cari".

"Salvate i superstiti" chiede la liberazione dei prigionieri di coscienza, di quelli in mano agli estremisti (una goccia nel mare), la fine degli arresti arbitrari e che i colpevoli di abusi siano processati. L' obiettivo immediato è che tutti i luoghi di detenzione siano rivelati e resi accessibili alle ispezioni e all'intervento della Croce Rossa e della Mezza Luna Rossa siriana e che siano rivelati anche i luoghi di sepoltura.

La campagna ha raggiunto l'apice nell'ultima settimana di gennaio, con manifestazioni nel nord della Siria ma anche all'estero, in Libano, Canada, negli USA, o qui in Europa a Londra, Istanbul e Parigi, mentre a Roma e Berlino si muoveranno il 31. Durante le iniziative in piazza si leggono lettere dei prigionieri e si rappresentano le condizioni di detenzione. La protesta si è espressa anche attraverso i social network, invasi di testimonianze, interviste, vignette, e col "twitter storm" del 26 di questo mese. Uno sforzo coordinato dalla società civile che resiste in Siria, ma che ha visto coinvolti i siriani della diaspora sparsi ormai in tutto l'occidente ed il mondo arabo.

La prigionia
Oltre alle carceri, ci sono prigionieri chiusi nelle strutture dei servizi segreti e in luoghi sconosciuti. Basta poco per finire in questi gironi infernali: poche righe scritte da qualche informatore in un "taqrir", un rapporto, magari una parola di troppo davanti al fruttivendolo sotto casa, la foto di una manifestazione o i contatti sbagliati nella rubrica del cellulare. Può bastare anche solo il trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Le condizioni di detenzione variano, ma sono sempre disumane. Nelle carceri destinate ai prigionieri politici e nelle sedi dei servizi segreti la brutalità delle torture fisiche e psicologiche raggiungono il loro picco.

Alle percosse continue e gli elettroshock si aggiungono il freddo, il sovraffollamento, la fame, la mancanza di assistenza sanitaria e condizioni igieniche drammatiche: ogni giorno c'è chi muore di stenti o per banali infezioni. Anche l'umiliazione fa parte della quotidianità, anche le più elementari esigenze fisiologiche sono strumento di tortura, in celle con 50 persone ed oltre in cui si dorme a turno, corpi straziati che si incastrano gli uni con gli altri in cerca di riposo prima di un altro giorno di agonia. Diffuse anche le torture relative alla sfera sessuale, dai "semplici" stupri fino ai casi di detenuti costretti ad assistere o persino a partecipare allo stupro di propri congiunti. In alcune strutture detenuti privilegiati possono comprare, corrompendo i carcerieri, un po' di dignità, ma si tratta di una esigua minoranza.

Le testimonianze
Già nell'estate del 2012, un rapporto basato su 200 interviste ad ex detenuti realizzato da Human Right Watch (HRW) denunciava il sistematico ricorso alla tortura da parte del regime di Assad, svelando la collocazione di 27 delle numerose strutture segrete e descrivendo nei dettagli i più comuni metodi di tortura riportati dai superstiti. Nel settembre del 2013 HRW ha avuto accesso ad alcuni di questi luoghi dopo la conquista di Raqqa da parte delle forze ribelli. Qui sono stati trovati strumenti di tortura e documenti che provano i crimini descritti nel precedente rapporto. 

Le prove più consistenti sono però nel cosiddetto "rapporto Caesar": un documento di 31 pagine con le foto di 11.000 corpi, trafugate dal disertore chiamato Caesar, che tra settembre 2011 ed agosto 2013 aveva il compito di fotografare e catalogare i morti nelle prigioni di Assad di un'area del Paese. Immagini esaminate da giuristi e procuratori del calibro di Desmon De Silva, ex procuratore capo del Tribunale Speciale per la Sierra Leone, che ha detto al quotidiano britannico The Guardian che le prove "documentano uccisioni su scala industriale" e ha aggiunto: "Questa è la pistola fumante che non avevamo mai avuto prima" mentre David Grane, anche lui tra i procuratori del Tribunale Speciale, ha affermato che: "Si tratta esattamente del tipo di prove che un procuratore cerca e si augura di trovare. Ci sono foto con numeri che corrispondono a documenti governativi e c'è la persona che le ha scattate. Sono prove che vanno al di là di ogni ragionevole dubbio". Tuttavia, nonostante le foto siano state mostrate al Congresso USA ed al Consiglio di Sicurezza dell'Onu, non ci sono state conseguenze per il regime di Assad che oggi sembra sempre più riabilitato, quasi un alleato dell'occidente nella lotta contro il sedicente "Stato Islamico".

Presente e memoria
Le foto trafugate da Caesar mostrano corpi emaciati, con chiari segni di percosse e torture elettriche, alcuni hanno gli occhi cavati o altre mutilazioni. Foto che ricordano tragicamente quelle scattate dall'Armata Rossa 70 anni fa nel campo di Auschwitz. C'è un filo rosso che lega il 27 gennaio del 1945 ed il nostro presente e non è solo nella similitudine tra quelle foto: il regime di Hafiz al Assad, padre dell'attuale dittatore Bashar, si era servito della consulenza di vari criminali di guerra nazisti nel formare ed addestrare i servizi segreti e le forze speciali.

Il più noto era l'austriaco Alois Brunner, la cui morte è stata accertata solo quest'anno. Il gerarca, ritenuto responsabile dell'uccisione di 140.000 ebrei, giunse in Siria nel 1954 dove divenne consigliere di Hafiz al Assad col nome di Dr. Georg Fischer. Nella sua ultima intervista, rilasciata nell'87 dalla sua casa di Damasco, Brunner dichiarò "Tutti gli ebrei meritavano di morire, erano agenti del demonio e la feccia dell'umanità. Non mi pento e lo rifarei ancora".

Forse dovremmo ripensare il senso della Giornata della Memoria: si dice che, quando l'Armata Rossa entrò ad Auschwitz, il mondo scoprì le dimensioni tragiche dell'olocausto nazi-fascista. Stavolta non ci sono scuse, sappiamo in dettaglio cosa sta succedendo, continueremo a ripeterci, con aria contrita, "Mai più!" o faremo qualcosa per fermare lo sterminio in atto?

Arabia Saudita prima decapitazione sotto il nuovo re

Corriere della Sera
Cambiano i re ma non le cattive abitudini. Lunedì 26 gennaio in Arabia Saudita c’è stata la prima decapitazione di un uomo sotto il regno dell’appena nominato Re Salman

Re Salman
L’esecuzione è avvenuta a Gedda. Moussa al-Zahrani era stato condannato per aver rapito e stuprato molte ragazze ma il caso aveva suscitato molte perplessità perché l’uomo si è dichiarato innocente fino alla fine e aveva accusato la polizia di essere stata corrotta per condizionare il processo

Suo fratello Hassan lo descrive come un padre innocente di tre figli. Altri parenti sono apparsi in televisione per spiegare le inconsistenze dell’accusa.
Lo scorso settembre un osservatore indipendente dell’Onu aveva espresso le sue preoccupazioni sulle procedure giudiziarie in Arabia Saudita e lanciato un appello per una moratoria delle esecuzioni. Purtroppo dall’inizio dell’anno questa è già la tredicesima.
Il ministro dell’Interno, però, non ha dubbi: Moussa al-Zahrani ha rapito delle ragazze minorenni, le ha drogate e le ha stuprate.

In ossequio ad un’interpretazione rigida della Sharia la pena di morte nel Paese è prevista per vari reati, tra i quali: omicidio, stupro, rapina a mano armata, traffico di droga, stregoneria, adulterio, sodomia, omosessualità, rapina su autostrada, sabotaggio e apostasia. Tre i metodi di esecuzione: l’impiccagione, la lapidazione e la decapitazione, quest’ultimo è il sistema più applicato (nel 2005 tutte le esecuzioni sono avvenute per decapitazione) anche se vi sono talvolta impiccagioni e lapidazioni. Le donne possono scegliere di essere giustiziate con un colpo di pistola alla nuca per non essere costrette a scoprire il capo.

Alcune organizzazioni umanitarie hanno denunciato che in Arabia Saudita c’è una quasi totale assenza di garanzie processuali. Per esempio, agli imputati è stata spesso negata la presenza di un avvocato o di una rappresentanza legale in aula; solo nel 2002 è stata consentita dal governo saudita la visita dello Special Rapporteur ONU sull’indipendenza dei giudici.Secondo i dati diffusi da Amnesty International nel 2013 l’Arabia Saudita si è classificata terza, dopo la Cina e l’Iran, nella scala mondiale delle esecuzioni.

Il 21 aprile del 2004 l’Arabia Saudita ha votato contro la risoluzione per l’abolizione della pena capitale approvata dalla Commissione per i Diritti Umani dell’Onu.

Tempi della giustizia: in carcere diciannove anni dopo il reato. La storia di Iqbal

Il Fatto Quotidiano
lqbal Muhammad è un signore pachistano che quattro mesi fa, alla soglia dei suoi cinquantasette anni, è stato portato nel carcere romano di Rebibbia per scontare una condanna a oltre nove anni di carcere. Il signor Iqbal è accusato di reati riguardanti un traffico internazionale di stupefacenti. Fin qui niente di strano. Ma si salta sulla sedia leggendo a quando risalgono questi reati. Iqbal entra in carcere per qualcosa che ha commesso diciannove anni prima.

Durante i lunghi anni trascorsi in libertà”, scrive, “oltre certamente a non essermi mai sottratto alla Giustizia come doveroso, ho condotto una vita da cittadino rispettoso, anche per riscattare gli errori del passato che sono certamente innegabili. Non ho più avuto nessun problema con la giustizia, ho lavorato e mi sono dedicato con continuità al volontariato. Vivo da trent’anni in Italia, mia figlia di 26 anni è di cittadinanza italiana. Credo fortemente di essere un uomo diverso, molto diverso da quello tratto in arresto oltre 19 anni fa. Rispetto la giustizia e rispetto le sentenze, ma sommessamente mi interrogo sul significato di una pena così pesante a tanta distanza dai fatti”.
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Come dargli torto? Che senso può avere una pena inflitta con questa tempistica? L’istituto giuridico della prescrizione aveva questa nobile ispirazione: evitare condanne senza senso, che vorrebbero reintegrare nella società qualcuno che ha avuto modo e tempo di integrarsi ben più proficuamente da solo. Invece è stato ridotto a una sfacciata scappatoia per quei colletti bianchi che avevano tempo da perdere e soldi da pagare agli avvocati affinché il tempo si perdesse con i cavilli giusti da loro individuati. Ma invece di pensare ad allungare i tempi di prescrizione, non sarebbe bene pensare ad accorciare quelli dei processi, preoccupazione quest’ultima fatta propria anche dal primo presidente della Cassazione Giorgio Santacroce in apertura dell’anno giudiziario?

Io credo che di fronte a inefficienze giudiziarie come quelle che hanno colpito il signor Iqbal, pur colpevole e pronto a pagare nei tempi in cui ciò era ancora ragionevole, debba intervenire un altro correttivo della giustizia, ben più supremo di quello della prescrizione: la grazia. Il potere sovrano del presidente, di cui la grazia è forse il residuo più appariscente, trova nella vicenda di un cittadino che da vent’anni si comporta in modo onesto, e per il quale dieci anni di carcerazione costituirebbero il percorso diametralmente opposto a quello dell’integrazione sociale, una delle sue massime possibilità di senso.

lunedì 26 gennaio 2015

USA - Pena di morte: Wyoming problemi con mix dell'iniezione letale si valuta ritorno alla fucilazione

OnuItalia.com
Cheyenne (Wyoming) – I problemi sul mix dell’iniezione letale che hanno fatto finire il protocollo dell’Oklahoma davanti alla Corte Suprema hanno indotto il Wyoming, uno degli Stati del West che hanno la pena di morte ancora nei codici, a contemplare la possibilita’ del ritorno alla fucilazione.

Una legge approvata dal Senato in gennaio prevede il ritorno del plotone di esecuzione nel caso in cui l’iniezione letale non possa essere somministrata o se dovesse essere giudicata incostituzionale dai giudici di Washington.

Il Wyoming e’ lo stato meno popoloso degli interi Stati Uniti e ha solo una persona nel braccio della morte. Nello Utah una proposta che ripristina la fucilazione se i farmaci dell’iniezione letale non dovessero essere disponibile va all’esame dei parlamentari locali in questa sessione legislativa mentre in Tennessee il governatore Bill Haslam ha ratificato la possibilita’ di tornare alla sedia elettrica.

Lo Utah aveva abolito le esecuzioni per fucilazione nel 2004 ma coloro che erano già stati condannati in quella data hanno conservato il diritto di scegliere come lasciare questo mondo, se con il plotone o con l’iniezione letale. Questo ha permesso nel 2004 Ronnie Lee Gardner, 49 anni, di essere fucilato nel carcere di Salt Lake City dopo 25 anni nel braccio della morte. (25 gennaio 2015)

Ungheria - Audizione con governo e ONG al Parlamento UE: preoccupazione per il rispetto dei diritti umani

apiceuropa.eu
Nel quadro delle azioni di monitoraggio dei diritti umani che competono all’Unione Europea, la commissione parlamentare Libertà Civili, Giustizia e Affari Interni (LIBE) ha tenuto un’audizione pubblica riguardante la situazione dei diritti umani in Ungheria, alla presenza di ONG, organizzazioni internazionali e del governo ungherese.

Claude Morales, presidente della Commissione LIBE, ha evidenziato come il Parlamento Europeo debba «fare uno sforzo per garantire che i diritti fondamentali siano rispettati negli Stati membri».

Veronika Mora, direttrice della ONG ungherese Ökotárs Alapítvány, ha affermato che, nel caso si esprimesse, il governo del Paese procederebbe ad intimidazioni, come già avvenuto nello scorso settembre.

Zoltán Kovács, portavoce del governo di Budapest, ha detto che avere un contenzioso con una ONG non equivale ad una generale minaccia con l’intero settore. Inoltre, ha ricordato come l’Ungheria abbia risolto le questioni riguardanti la legge sui media o le modifiche costituzionali.

Attila Mong, direttore del portale di giornalismo investigativo Atlatszo.hu ha avvertito che «l’emittente pubblica distribuisce la propaganda del governo» e che «i giornalisti stanno vivendo una pressione politica. Tutto questo minaccia la libertà di stampa e il pluralismo».

In conclusione dell’incontro, gli esperti di Amnesty International e del Consiglio d’Europa hanno ribadito che l’Unione Europea dovrebbe assicurare che i diritti fondamentali siano rispettati in tutti gli Stati membri.

domenica 25 gennaio 2015

Congo, la polizia spara sulla folla che protesta contro la riforma elettorale che lascerebbe Kabila al potere

La Repubblica
Ben 42 persone sono rimaste uccise - secondo la denuncia di Human Rights Watch (Hrw) - durante quattro lunghi giorni di proteste e scontri nella Repubblica Democratica del Congo (Rdc)
Kinshasa - Ci sono stati quattro lunghi giorni di proteste e scontri nella Repubblica Democratica del Congo (Rdc) che sono costate la vita a 42 persone durante le accesissime manifestazioni per contestare le modifiche alla legge elettorale che il presidente Joseph Kabila avrebbe voluto imporre per protrarre la sua permanenza alla guida del paese, che dura dal 2001. Il Senato, alla fine, ha approvato la legge sulla riforma elettorale, ma cancellando l'articolo contestato dall'opposizione - l'articolo 8 - che prevedeva un censimento prima delle elezioni del prossimo anno, per rimandare ancora l'appuntamento elettorale, con il quale Joseph Kabila - in carica dal 16 gennaio del 2001, subito dopo l'uccisione di suo padre, Laurent-Désiré - avrebbe prolungato il suo mandato. Le proteste sono cominciate lunedì 19 gennaio a Kinshasa, il giorno stesso in cui ha avuto inizio la discussione della riforma elettorale in Senato. Proteste che si sono poi immediatamente diffuse anche a Goma, capitale del Nord Kivu, nell'est del paese.


I cortei in numerose città. Il governo della Repubblica democratica del Congo - si legge in sostanza in un documento di Human Rights Watch (Hrw) - ha usato la mano pesante per reprimere queste proteste. Le forze di polizia e dell'esercito sono intervenute durante i cortei di protesta spontanee cui numerosissimi congolesi hanno partecipato credendo (a ragione n.d.r) che le modifiche prospettate avrebbero permesso al presidente Kabila di rimanere in carica oltre il limite dei sui doppi mandati. Dimostrazioni si sono svolte in molte altre città, in tutto il paese: a Bukavu, Bunia, Lubumbashi, Mbandaka e Uvira. A Kinshasa, i manifestanti hanno dimostrato nei pressi del palazzo del Parlamento (Palais du Peuple), intorno all'università, dove ci sono state almeno sei vittime tra gli studenti dell'ateneo ed altre scuole che hanno partecipato alle manifestazioni - e nei quartieri di Bandal, Kalamu, Kasa-Vubu, Kimbanseke, Lemba, Limeté, Makala, Masina, Matete, Ndjili, oltre che nel vicino comune di Ngaba.

"La polizia ha tentato di nascondere le prove". Molte delle manifestazioni sono degenerate nella violenza dopo che la polizia nazionale congolese e la Guardia Repubblicana hanno cominciato a sparare gas lacrimogeni e proiettili ad altezza d'uomo tra la folla. I dimostranti hanno scagliato di tutto contro le forze di sicurezza, saccheggiato e bruciato negozi e uffici del governo. Human Rights Watch ha documentato una serie di casi in cui la polizia e soldati della Guardia Repubblicana hanno portato via i corpi delle persone rimaste uccise negli scontri, nell'evidente tentativo di cancellare le prove. Hrw Forze della Guardia Repubblicana anche sparato indiscriminatamente in un ospedale, ferendo gravemente tre persone. La sera prima di proteste sono iniziate, le autorità di governo hanno bloccato i leader dell'opposizione nel loro quartier generale del partito a Kinshasa. Diversi altri sono stati arrestati a Goma e sempre a Kinshasa nei giorni successivi. Nelle prime ore del mattino del 20 gennaio, le autorità hanno bloccano la Rete Internet e i testi delle comunicazioni che i militanti dell'opposizione inviavano in altre parti del Congo. Due giorni fa tutto sarebbe tornato normale, anche se diversi leader dell'opposizione hanno riferito a Hrw che i loro numeri di telefono sono tuttora bloccati.

Death penalty Urgent Appeal of Amnesty International - Stop the executions in Indonesia

Amnesty International

Eleven people, including Australians Andrew Chan and Myuran Sukumaran, now face imminent execution in Indonesia.
Alongside Andrew and Myuran, those facing death by firing squad include Indonesians, as well as foreign nationals from France, Ghana, Spain, Brazil and the Philippines.

Indonesia has already demonstrated its deadly intent by executing five foreign nationals and one Indonesian just after midnight on 18 January. International condemnation followed and the Brazilian and Dutch Ambassadors to Indonesia were recalled.

Death sentences in Indonesia are carried out by a firing squad of 12 gunmen. Prisoners are given a choice of whether to stand or sit and whether to have their eyes covered, by a blindfold or hood. Three rifles are loaded with live ammunition, while the other nine are loaded with blanks. Prisoners are then fired on from 5-10 metres.

The death penalty is a violent, inhumane and outdated punishment that has no place in today’s criminal justice system.

Evidence from around the world has shown that the death penalty does not work to deter crimes. State sanctioned killing only serves to endorse the use of force and to continue the cycle of violence.

More than 140 countries have now abolished this barbaric practice, and Indonesia must join them.
Please, urge the Indonesian authorities to halt plans to execute the 11 death row prisoners and to establish a moratorium on all executions with a view to ending the death penalty for good.

Egitto annullata la condanna a morte per 37 membri dei Fratelli Musulmani

BBC
Un tribunale egiziano ha annullato la condanna a morte per 37 membri del partito Fratelli musulmani. 

Gli uomini, accusati di aver ucciso almeno un poliziotto durante un attacco contro un commissariato nel 2013, saranno sottoposti a un nuovo processo. 

Fanno parte dei 529 sostenitori dell’ex presidente Mohamed Morsi condannati a morte nel marzo 2014.

Ondata di crimini rituali a danno di decine di bambini in Costa d'Avorio

Ecofin Agency
Negli ultimi due mesi, in Costa d'Avorio, 21 bambini sono stati rapiti, sono stati ritrovati morti e mutilati. Solo uno è stato trovato sano e salvo.


Secondo la Questura c'è una recrudescenza di sacrifici rituali. "Il fenomeno è reale e insolito. I nostri servizi hanno rilevato da dicembre 21 casi di sequestro", hanno detto i funzionari, aggiungendo che i bambini sono stati "trovati mutilati, con la scomparsa dei loro genitali o decapitati"

Le notizie che ci giungono di crimini rituali in Africa centrale, tra cui Gabon o argomento è oggetto di proteste contro l'impunità dei mandanti di queste atrocità.


Traduzione Blog Diritti Umani

Erythrée - Evénement « exceptionnel » Liberation de six journalistes arrêtes en 2009

Reporters Sans Frontières (RSF)
Six journalistes érythréens, emprisonnés depuis une vaste rafle dans les médias en 2009, ont été libérés « sous caution ». 

Il s'agit de Bereket Misghina, Yirgalem Fisseha Mebrahtu, Basilios Zemo de Radio Bana, Meles Negusse Kiflu de Radio Bana et Radio Zara, et Girmay Abraham de Radio Dimtsi Hafash, ainsi que Petros Teferi. L'ONG Reporters sans frontières (RSF) parle d'un événement « exceptionnel » dans le pire pays du monde pour la liberté de la presse, selon le classement annuel de l'ONG.

C'est une satisfaction. C'est si rare dans ce pays où le pouvoir a plutôt l'habitude de mettre les journalistes en prison et malheureusement de les y laisser mourir.(...) Les conditions de détentions des journalistes sont les plus abominables qu'on peut imaginer.
Christophe DeloireDirecteur général de RSF

Au moins sept journalistes arrêtés lors de cette même rafle de 2009 avaient déjà été libérés sous caution en mars 2013, rappelle RSF. Au total, une cinquantaine de journalistes avaient été arrêtés. La plupart avaient été rapidement libérés, mais une douzaine avaient été maintenus en détention sans inculpation, selon l'ONG.

sabato 24 gennaio 2015

Ucraina, capo dei separatisti filorussi a Donetsk: “Introdurremo pena di morte”

Il Fatto Quotidiano
Lo ha annunciato Aleksandr Zakharcenko in un incontro gli studenti dell’università di Donetsk. L’unico Paese europeo in cui è in vigore la pena capitale è la Bielorussia. In Russia c'è una moratoria
Aleksandr Zakharcenko, il capo dell’ autoproclamata repubblica di Donetsk, ha annunciato oggi in un incontro gli studenti dell’università di Donetsk che sarà approvata una legge sulla pena di morte. Lo riferiscono i media russi. L’unico Paese europeo in cui è in vigore la pena capitale è la Bielorussia, mentre in Russia è in vigore una moratoria. Lo stesso Zakharcenko ha spiegato che non intende più cercare di trovare un compromesso con Kiev per un cessate il fuoco nel sud-est ucraino. “Da parte nostra non ci saranno più tentativi di parlare di tregua”, ha detto il leader separatista all’indomani della conquista dell’aeroporto di Donetsk da parte dei ribelli, aggiungendo che i suoi uomini intendono “andare avanti” nell’offensiva “fino ai confini della regione di Donetsk”. Ma ha anche avvertito che se ci sarà “una minaccia anche da altre parti” sarà “liquidata”. “Kiev – ha proseguito – adesso non si rende conto che siamo in grado di attaccare contemporaneamente su tre direzioni”.
[...]
Secondo l’ultimo bilancio dell’Onu reso noto oggi a Ginevra, più di 5.000 persone sono state uccise in Ucraina dall’inizio del conflitto, a metà aprile 2014. L’intensificarsi delle ostilità dal 13 gennaio scorso – ha detto il portavoce dell’Alto commissariato Onu per i diritti umani, Rupert Colville – ha portato il totale delle vittime nel paese a 5.086. 

Temiamo che la cifra reale sia molto più elevata. Inoltre – ha aggiunto – almeno 10.948 persone sono state ferite tra la metà di aprile dello scorso anno e il 21 gennaio scorso. Colville ha sottolineato che in soli nove giorni, dal 13 al 21 gennaio, almeno 262 persone sono state uccise a causa delle ostilità. E’ una media di almeno 29 uccisi al giorno e si tratta del periodo più letale dalla dichiarazione di un cessate il fuoco il 5 settembre , ha sottolineato il portavoce.

USA, pena di morte: sotto esame la costituzionalità dei nuovi cocktail per l'iniezione letale

Ansa
La Corte Suprema degli Usa ha deciso di riesaminare la costituzionalità delle nuove combinazioni di farmaci per l'iniezione letale che alcuni Stati utilizzano per le esecuzioni.
La decisione è stata presa in seguito al ricorso di tre condannati a morte in Oklahoma. L'Alta Corte, che proprio la settimana scorsa ha permesso l'esecuzione di un detenuto con lo stessa combinazione di farmaci, dovrà decidere se l'uso del cocktail viola il divieto della Costituzione Usa di infliggere punizioni crudeli.

In particolare, i giudici hanno deciso di verificare se il sedativo midazolam possa essere utilizzato nelle esecuzioni a seguito dei timori che non produca un profondo stato comatoso e di incoscienza. Dovranno inoltre assicurarsi che il detenuto non sperimenti un dolore intenso e inutile quando gli vengono iniettati altri farmaci per ucciderlo.

La decisione giunge otto giorni dopo che la Corte Suprema si si è rifiutata di bloccare l'esecuzione di un detenuto in Oklahoma dove viene usato lo stesso tipo di cocktail. Oltre al midazolam viene utilizzato un farmaco per paralizzare il detenuto e un terzo per bloccarne il cuore. Il caso alla Corte Suprema sarà probabilmente discusso ad aprile con una decisione attesa per la fine di giugno.

Corte Suprema Usa esaminerà casi di 3 condannati
La Corte Suprema degli Stati Uniti esaminerà il caso di tre detenuti rinchiusi nel braccio della morte che contestano - in quanto incostituzionale perché rischia di causare sofferenze e dolore - l'uso di determinati farmaci nel cocktail usato per le esecuzioni con l'iniezione letale. La Corte aveva precedentemente deciso di non posticipare l'esecuzione di 4 detenuti in Oklahoma, una delle quali è stata eseguita il 15 gennaio: Charles Warner è stato il primo la cui esecuzione è stata portata a termine nello Stato americano dopo quella che nell'aprile 2014 si risolse in un'agonia di tre quarti d'ora per il condannato, Clayton Lockett.

USA: settantenne scagionato dopo 40 anni di carcere, era innocente

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Quarant'anni. Questo il tempo trascorso dietro le sbarre da innocente. È quanto avvenuto a Joseph Sledge, uscito oggi di prigione, dopo aver trascorso oltre metà della propria vita in carcere, condannato ingiustamente all'ergastolo con l'accusa di aver ucciso, nel 1976, una donna e sua figlia. 

Entrambe vennero trovate morte nella sua abitazione nel North Carolina. Un'ingiustizia enorme, che si è risolta soltanto adesso, grazie a nuove testimonianze che hanno riaperto il caso. 

I periti, riprese le indagini, hanno scoperto come i capelli rinvenuti sulla scena del delitto non appartenessero a lui e, così, è stata finalmente riconosciuta la sua innocenza. "Voglio fare una bella dormita in un letto vero letto e anche un bagno in piscina", è stato l'unico commento di Sledge appena riavuta la libertà.

Arabia Saudita: il buco nero dei diritti umani, tra decapitazioni e frustate

Corriere della Sera
In un video diffuso online la scorsa settimana, e girato con un cellulare alla Mecca, si vede una donna in nero seduta sull'asfalto. Condannata a morte per l'omicidio della figliastra di 7 anni, la donna protesta la propria innocenza. "Non ho ucciso! Non ho ucciso!".
Ma un boia vestito di bianco la colpisce al collo, per tre volte, con un spada che poi pulisce con un panno, mentre il cadavere viene portato via. La diffusione di quel filmato e la fustigazione pubblica (recentemente rimandata dopo gli appelli di Usa e Onu) del blogger Raif Badawi, condannato a 1.000 frustate per "offesa all'Islam", hanno portato nuova attenzione sull'interpretazione della sharia e l'applicazione della pena capitale in Arabia Saudita. All'indomani della morte di re Abdullah, Amnesty International ha condannato "l'assenza totale di diritti umani" nel Paese, e ha denunciato un aumento degli arresti "di attivisti, blogger e di chiunque critichi la leadership politica e religiosa saudita", anche sui social network.

Qualche giorno fa il sito web "Middle East Eye" ha pubblicato un confronto tra le pene inflitte dall'Isis in nome della legge islamica nei territori dell'autoproclamato "Califfato" e quelle corrispondenti applicate da Riad: in casi di blasfemia, omicidio, omosessualità è prevista la morte; l'adulterio è punito con la lapidazione se sposati, altrimenti con 100 frustate; l'amputazione è contemplata per i ladri, e così via.

Anche se "l'applicazione effettiva di queste pene è in realtà diversa - riconosce lo stesso sito - poiché l'Arabia Saudita raramente, se mai, arriva a giustiziare per blasfemia o adulterio" e molto dipende dalla discrezionalità dei giudici, diversi studiosi notano il legame "teologico" basato sulla rigidissima interpretazione wahhabita dell'Islam. Il paragone con la morte di giornalisti come James Foley è evocato dal direttore di Amnesty, Salil Shetty: "Critichiamo l'Isis, ma a Riad c'è un governo che ha effettuato più di 60 decapitazioni pubbliche negli ultimi mesi". Secondo "Human Rights Watch" le esecuzioni sono state 87 nel 2014 e 11 finora nel 2015, per crimini come stupro, omicidio, traffico di droga.

Spesso si tratterebbe di decapitazioni, ma il governo tende a non pubblicizzarlo (e l'autore del video della Mecca è finito in manette). Nel frattempo il Paese fa parte della coalizione Usa contro l'Isis. La preoccupazione per l'ascesa del "Califfato" è genuina, come dimostra il muro di 600 miglia in costruzione lungo il confine con l'Iraq, dove tre guardie sono state di recente uccise. L'Isis, come già Al Qaeda (a partire dal saudita Bin Laden), disputa la legittimità, basata sulla religione, del potere della famiglia Al Saud. Ma l'atteggiamento dell'élite saudita - osserva tra gli altri l'ex agente dell'intelligence inglese Alastair Crooke - è ambivalente: alcuni appoggiano i miliziani sunniti perché combattono gli sciiti, altri ne hanno paura.

di Viviana Mazza

venerdì 23 gennaio 2015

L’Indonesia conferma la pena di morte ai due narcotrafficanti australiani

In terris
Il presidente Joko Widodo aveva dichiarato di voler eliminare il traffico di stupefacenti dal suo Paese

Joko Widodo, ha respinto la richiesta di grazia che l’Australia aveva presentato per i suoi due connazionali detenuti per droga in Indonesia. Presto quindi si procederà con le esecuzione e questo potrebbe incrinare ancora di più i rapporti già delicati tra i due Paesi. 

La scorsa settimana in Indonesia erano stati giustiziati alcuni cittadini brasiliani e olandese, cosa che aveva creato una crisi tra i tre Stati. L’Australia aveva chiesto la grazi per i due componenti del “Bali nine”, soprannome del gruppo di nove australiani arrestati nel 2005 a Bali per aver tentato di trafficare 8 chilogrammi di eroina.

Il presidente indonesiano poco tempo fa aveva ribadito la sua intenzione di sgominare il narcotraffico dal suo Paese, promettendo di usare il pugno di ferro e di non usare clemenza in nessun caso. A seguito delle fucilazioni avvenute la scorsa settimana, Brasile e Olanda avevano richiamato i loro ambasciatori da Giacarta, mentre la Nigeria aveva richiamato il suo ambasciatore ad Abuka. Anche la ministra degli esteri australiana, Julie Bishop, aveva affermato di non escludere l’ipotesi di far rientrare in patria l’ambasciatore australiano in Indonesia, se i suoi connazionali verranno uccisi.