Pagine

domenica 31 agosto 2014

Burundi, ricoverato in gravi condizioni Pierre Claver Mbonimpa attivista dei diritti umani arrestato per un'intervista radio

La Repubblica
Dopo più di tre mesi di detenzione, Pierre Claver Mbonimpa, figura di spicco nella lotta alle discriminazioni, è ora in ospedale. Il suo arresto è solo l'ultima presa di posizione di un governo sempre meno democratico che deve fare i conti con la povertà dei suoi cittadini e con le prossime elezioni
Pierre Claver Mbonimpa (foto Buja News) 
Roma - "I giovani burundesi sono armati e addestrati dalla Repubblica democratica del Congo". Questa dichiarazione rilasciata durante un programma radio è costata la libertà a Pierre Claver Mbonimpa, 66 anni, storico attivista per i diritti umani e presidente dell'Association pour la protection des droits humains et des personnes détenues, una delle ong più importanti del Burundi. 

L'arresto di Mbonimpa è stato aspramente contestato da molti burundesi e da alcune associazioni come Human Rights Watch, che ha pubblicato un video con cui chiede il rilascio immediato dell'attivista.

Democrazia allo specchio. Mbonimpa è accusato di mettere in pericolo la sicurezza dello stato per aver denunciato la presenza di una formazione paramilitare nella vicina Rdc costituita da alcuni membri della Lega giovanile del CNDD-FDD, il primo partito del Burundi cui appartiene anche l'attuale presidente Pierre Nkurunziza. La presenza di gruppi armati, già denunciata da altre organizzazioni, è solo uno dei sintomi della disgregazione politica e sociale di uno stato che deve ancora fare i conti con i fantasmi del passato. A dodici anni dalla fine della guerra civile, il Burundi non è quell'oasi di pace e prosperità che in molti sognavano. Ad esasperare la popolazione contribuiscono due fattori: la corruzione dilagante nella classe politica e il costo esagerato di cibo, acqua e servizi.

Amato dai cittadini. In questo scenario è emersa la figura di Mbonimpa, che da anni lotta per la parità di diritti e per migliorare la vita dei detenuti ed è diventato un simbolo di speranza per il paese. Per far pressione sul governo i suoi sostenitori ogni venerdì indossano vestiti verdi, il colore delle divise penitenziarie. Il Green Friday è solo una delle iniziative portate avanti dalla popolazione, iniziative che le istituzioni cercano di ostacolare vietando per esempio manifestazioni pacifiche.

Elezioni alle porte. L'arresto dell'attivista è solo l'ultimo atto coercitivo da parte del governo di Bujumbura. A marzo 2014 infatti settanta membri del partito d'opposizione hanno subito un processo di massa durato un solo giorno e senza assistenza legale. Ventuno sono stati condannati all'ergastolo e altri 27 a dieci anni di reclusione. L'ondata di repressione precede l'appuntamento elettorale del 2015, quando il partito al potere vedrà messa in discussione la propria leadership dopo dieci anni di consensi. Ma non è la prima volta che accade. Già nel 2010, in occasione delle elezioni, si sono registrate violenze sfociate anche in omicidi politici e arresti sommari. Ad alimentare le tensioni c'è anche la mancata giustizia per i crimini del passato, infatti molti membri delle forze di sicurezza e della guerriglia che hanno commesso atrocità durante la guerra civile non sono stati ancora chiamati a rispondere delle loro azioni.

'Liberatelo subito'. "Pierre Claver Mbonimpa - afferma Daniel Bekel direttore della sezione Africa di Human Rights Watch - dovrebbe essere consideratouna risorsa per il Burundi, non una minaccia. Le autorità burundesi dovrebbero far cadere tutte le accuse contro di lui e liberarlo subito". È questo l'appello di Hrw che si sta battendo per riportare l'attivista in libertà. Secondo l'ong infatti Mbonimpa non è colpevole dei reati di cui è accusato e dovrebbe godere, per l'età e le cagionevoli condizioni di salute, di libertà vigilata: richiesta respinta dal tribunale di Bujumbura.

Imam della Gran Bretagna emettono "fatwa" di condanna contro jihadisti dell'Isis

The Sunday Times
Alcuni degli imam più influenti della Gran Bretagna hanno condannato musulmani britannici che stanno combattendo al fianco estremisti Isis in Iraq e in Siria.


La fatwa "religiosamente proibisce" gli aspiranti jihadisti britannici di unirsi all'"Oppressivo e tirannico" Isis, noto anche come Stato islamico. Gli imam ordinano a tutti i musulmani di contrastare "l'ideologia velenosa" di Isis, soprattutto quando è promosso all'interno della Gran Bretagna.


La fatwa, il primo del suo genere rilasciata da studiosi musulmani britannici, segue l'elevazione della minaccia terroristica della Gran Bretagna da sostanziale a grave, significato un attacco è "altamente probabile".


Alti funzionari hanno rivelato che il primo ministro avrebbe annunciato dei piani di prevenzione verso i jihadisti britannici che combattono in Iraq e Siria che rientrano in Gran Bretagna. I passaporti dei cittadini britannici sospettati di attività terroristica verrà annullato.
La fatwa è stata emessa dopo le critiche verso i leader musulmani britannici non aver fatto abbastanza per condannare gli aspiranti jihadisti che sono partiti per combattere per Isis.

Traduzione a cura della redazione "Blog Diritti Umani"

sabato 30 agosto 2014

L'Etiopia è il paese africano che ospita il numero maggiore di rifugiati. 188 mila nel 2014 provengo dalla guerra in Sud Sudan

ASCA
Secondo i dati diffusi dall’Unhcr – Addis Abeba – L’Etiopia e’ diventato il piu’ grande Paese di accoglienza per i rifugiati sul continente africano, a causa del deterioramento della crisi in Sud Sudan. Lo ha annunciato l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i i rifugiati (Unhcr).
L’Etiopia ha inoltre superato il Kenya in termini di ospitalita’ di profughi e a fine luglio ne ospitava 629.718, contro i 575.334 del Kenya. 

La ragione principale di questo aumento e’ il conflitto in Sud Sudan, che e’ scoppiato a meta’ dicembre dello scorso anno e ha costretto 188.000 rifugiati a fuggire in Etiopia dall’inizio del 2014, ha spiegato l’Unhcr. Il conflitto in Sud Sudan e’ scoppiato il 15 dicembre 2013 in seno all’esercito, minato dagli antagonismi politico-etnici esacerbati dalla rivalita’ tra Salva Kiir e Riek Mashar alla guida del regime. 

Ormai circa 247.000 rifugiati sudsudanesi vivono in Etiopia, dove rappresentano la piu’ grande comunita’ di rifugiati, davanti a somali (245.000) ed eritrei (99.000). 

Cuba: italiano in fin di vita in carcere, condannato per tre spinelli. Un appello dei genitori

Ristretti Orizzonti
Pubblichiamo la lettera dei genitori di Giulio Brusadelli, un ragazzo romano di 34 anni ricoverato all'interno dell'ospedale psichiatrico "Juan Bruno Zayas" di Cuba, detenuto fino a pochi giorni fa nel carcere Aguadores di Santiago perché lo scorso 3 marzo la polizia lo ha trovato con 3,5 grammi di marijuana in tasca, l'equivalente di 3-4 spinelli. 
La lettera è indirizzata al senatore Luigi Manconi, presidente dell'Associazione "A buon diritto".
Gentile senatore Manconi, siamo i genitori di Giulio Brusadelli e le scriviamo da Cuba. Ieri, 28 agosto, abbiamo incontrato nostro figlio nel reparto psichiatrico dell'ospedale "Juan Bruno Zayas" vicino a Santiago, dove si trova recluso e piantonato. Giulio era in stato catatonico, visibilmente prostrato e depresso, dimagrito in maniera impressionante rispetto al suo peso abituale, incapace di pronunciare parola e di riconoscere i propri genitori. E noi stessi faticavamo a riconoscere lui.
Nostro figlio soffre da vent'anni di una sindrome bipolare, maniaco-depressiva, ma mai c'era accaduto di vederlo in una simile condizione. Fino a qualche giorno fa, si trovava detenuto nel carcere della città di Santiago, dopo essere stato arrestato perché trovato in possesso di 3,5 grammi di marijuana; e dopo essere stato condannato a quattro anni per un "traffico" del quale non risulta alcuna prova. Giulio ha commesso un errore ma non può certo, per questo motivo, rischiare di morire. E oggi, dopo averlo visto con i nostri occhi in quello stato, temiamo che ciò possa accadere.
Il nostro è un grido di aiuto che rivolgiamo a lei e alle autorità italiane affinché si chieda con urgenza al governo cubano un atto di clemenza per ragioni umanitarie: così che nostro figlio possa tornare immediatamente in Italia, essere adeguatamente curato e scontare la sua pena nel nostro paese. Prima che sia troppo tardi.

Detenuto impara il massaggio cardiaco in carcere: durante un permesso uscita salva un bagnante

ANSA
Un detenuto in permesso, al lavoro presso l’azienda dei rifiuti locale di Massa (Massa Carrara), ha soccorso un bagnante in arresto cardiaco e gli ha salvato la vita. 


L’episodio, reso noto oggi, è avvenuto poco prima di Ferragosto: il giovane, detenuto nel carcere di Massa, fa parte di un gruppo a cui è stata offerta l’opportunità di reinserimento sociale, grazie alla convenzione firmata a inizio anno tra il comune di Massa, l’Asmiu (azienda di raccolta dei rifiuti) e la casa di reclusione. Una mattina, insieme a un compagno, il detenuto stava svolgendo il suo servizio di pulizia sul litorale di Marina di Massa, quando ha sentito le grida di un bagnante e si è precipitato verso la spiaggia. 

Steso a terra c’era un uomo che non dava più segni di vita, era in arresto cardiaco. Il detenuto ha iniziato la manovra di rianimazione, mentre il compagno ha chiamato il 118. Il massaggio cardiaco, che gli era stato insegnato durante altri corsi svolti nel carcere, è stato, secondo i sanitari provvidenziale e l’uomo si è salvato.

Bahrein, leader dei diritti umani Abdulhadi Al-Khawaja all'ergastolo riprende lo sciopero della fame

Corriere della Sera - Blog
Aggiornamento al 28 agosto: al quarto giorno di sciopero della fame, Abdulhadi Al-Khawaja ha perso conoscenza.

Da tre giorni Abdulhadi Al-Khawaja, il più noto difensore dei diritti umani del Bahrein, condannato all’ergastolo il 22 giugno 2011, è di nuovo in sciopero della fame per protestare contro la sua “detenzione arbitraria”. Ha comunicato ai suoi familiari che si limiterà ad assumere acqua e rifiuterà “di essere trasferito in ospedale o nell’infermeria così come di essere alimentato via flebo”.

Il 29 gennaio 2012, Al-Khawaja aveva dato vita a uno sciopero della fame durato 110 giorni, nel corso del quale era stato sottoposto ad alimentazione forzata attraverso procedure particolarmente dolorose.

Al-Khawaja, già presidente del Centro per i diritti umani del Bahrein e fondatore del Centro per i diritti umani del Golfo, è stato tra i protagonisti della “primavera” del piccolo regno del Golfo persico, iniziata il giorno di San Valentino del 2011 e repressa con estrema violenza, grazie anche all’intervento di truppe saudite del Consiglio di Cooperazione del Golfo.

Arrestato il 9 aprile 2011 nel corso di una violenza irruzione della polizia nella sua abitazione della capitale Manama, ha trascorso alcune settimane in isolamento nel corso delle quali è stato brutalmente torturato, riportando quattro fratture al volto.

La condanna all’ergastolo (per “organizzazione e direzione di un gruppo terrorista” e “tentativo di rovesciare il governo con la forza e in collaborazione con un gruppo terrorista legato a uno stato estero”) gli è stata inflitta da un tribunale militare al termine di un processo segnato da gravi irregolarità.

Per Amnesty International, Abdulhadi Al-Khawaja è un prigioniero di coscienza. Non avrebbe dovuto trascorrere neanche un minuto in carcere. Ora rischia nuovamente la vita per difendere i suoi diritti alla libertà d’espressione, di associazione e di manifestazione pacifica.

Il 25 agosto, 11 organizzazioni internazionali per i diritti umani hanno sollecitato il re del Bahrein a rilasciare Abdullah al-Khawaja e altri 12 attivisti e difensori dei diritti umani che stanno scontando lunghe pene detentive e a fornire loro cure mediche e psicologiche per le torture subite durante l’arresto e nel corso della detenzione.

 

venerdì 29 agosto 2014

Siria - UNHCR: il numero di rifugiati raggiunge i 3 milioni. La guerra ha provocato 191 mila morti e 6,5 milioni di sfollati

Afp
Ginevra – Il numero dei rifugiati siriani, dopo oltre tre anni di conflitto civile, ha superato i tre milioni: lo ha reso noto l’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati, precisando che nel solo 2013 un milione di persone è stata costretta ad abbandonare il Paese a causa dei combattimenti.

Oltre ai rifugiati, il conflitto – che ha provocato almeno 191mila morti – ha costretto 6,5 milioni di siriani, la metà della popolazione, a lasciare la propria abitazione per cercare rifugio in altre zone del Paese.

La maggior parte dei rifugiati è stata accolta nei Paesi confinanti, tra cui il Libano – che ne ospita oltre un milione – la Turchia (800mila) e la Giordania (600mila), con enormi pressioni sulle economie, risorse ed infrastrutture locali.





Giappone, eseguite 2 condanne a morte, sono adesso 3 le esecuzioni del 2014, 11 da ritorno dei conservatori al governo

Tm News
Due condannati a morte sono stati giustiziati in Giappone: sale così a tre il numero delle condanne eseguite quest'anno, 11 dal ritorno dei conservatori al governo, nel dicembre del 2012. 

Secondo la stampa giapponese nel corridoio della morte si trovano 125 detenuti: il ritmo delle esecuzioni tuttavia dipende dal titolare del dicastero della Giustizia, la cui firma è necessaria per procedere; nel 2011, anno in cui era al potere un governo di centrosinistra - e nonostante la maggioranza della popolazione sia favorevole alla pena di morte - non venne eseguita alcuna condanna.

La Svizzera si allinea alla decisione della UE: i farmaci prodotti non devono servire per la pena di morte

Tio
BERNA - I farmaci svizzeri non devono servire all'esecuzione della pena di morte. All'unanimità la Commissione della sicurezza sociale e della sanità del Consiglio degli Stati ha deciso di inserire questo aspetto nell'ambito della revisione della Legge sugli agenti terapeutici.
La nuova disposizione precisa che "l'esportazione e il commercio all'estero di medicinali a partire dalla Svizzera sono vietati se si può presumere che essi siano destinati all'esecuzione di esseri umani". Al momento del rilascio di un'autorizzazione di esportazione, l'istituto svizzero per gli agenti terapeutici Swissmedic dovrà verificare se questi barbiturici o benzodiazepine non saranno impiegati per l'esecuzione della pena di morte.

Questa regolamentazione si allinea a quella dell'Unione europea (UE). Attualmente l'uso di medicamenti per l'esecuzione di esseri umani nei Paesi che praticano la pena di morte non costituisce uno scopo illecito. Sostanze letali elvetiche sono già state utilizzate per esecuzioni capitali, in particolare negli Stati Uniti.

Nel 2011 l'azienda farmaceutica Naari, con sede a Basilea, aveva chiesto allo Stato del Nebraska la restituzione di un anestetizzante. Il suo direttore aveva indicato alle autorità il suo disaccordo all'utilizzo di suoi prodotti per le esecuzioni capitali, precisando che il farmaco era stato sottratto da un intermediario nello Zambia, al quale era stato consegnato a scopi medici.

L'uso dell'anestetizzante al tiopentale sodico di Sandoz per l'esecuzione della pena di morte negli Usa era stato rivelato all'inizio del 2011. In questo caso, il prodotto era stato ordinato alla filiale austriaca di Sandoz dal gruppo Novartis ed era transitato tramite un intermediario britannico. Sandoz ha in seguito vietato alle sue filiali di consegnare il prodotto negli Stati Uniti o a terzi che potrebbero poi rivenderlo.

Farmacisti - La commissione ha inoltre iniziato la discussione su altri punti della revisione della legge sui medicinali. Con 8 voti contro 1, ha accettato che in casi urgenti e in altri casi stabiliti dal Consiglio federale, i farmacisti possano somministrare farmaci soggetti a prescrizione medica anche senza tale prescrizione. Potranno farlo tuttavia soltanto dopo aver avuto un contatto diretto con il paziente.

Con 6 voti contro 3, la commissione ha invece respinto l'omologazione semplificata di determinati medicamenti che sono stati autorizzati da almeno dieci anni nei Paesi dell'UE e dell'AELS. È stato fatto notare che in tal modo la Svizzera si sarebbe spinta più lontano degli stessi Stati europei.

giovedì 28 agosto 2014

Unhcr, strage nel Mediterraneo: "1600 morti in 3 mesi". E Mare Nostrum: "Ha salvato migliaia di vite"

La Repubblica
L'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati presenta a Ginevra il rapporto annuale: dall'inizio dell'anno sono 1889 le vittime in mare. Apprezzamento per l'operazione della Marina: "Ma adesso serve intervento europeo. L'Onu: "Italia non sia lasciata sola". Quirinale sostiene proposte Alfano
Roma - Quasi 1900 morti (precisamente 1889) dall'inizio dell'anno, di cui 1600 negli ultimi 3 mesi. I numeri dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) fotografano - qualora ce ne fosse ancora bisogno - le propoporzioni della strage di migranti che si consuma nel Mediterraneo.

Un bilancio aggravato all'aumento dei flussi: nel 2014, infatti sono stati 124.380 (dati Unhcr) gli arrivi via mare in Europa (nel 2013 erano stati 60mila), di cui ben 108.172 in Italia (al 24 agosto) tra i quali almeno 14 mila minori di cui 8.600 non accompagnati.

In questa panorama almeno una nota positiva riguarda l'operazione Mare Nostrum della Marina italiana che - secondo l'Unhcr - ha consentito di "salvare migliaia di vite", ma ora, "la drammatica situazione ai confini marittimi dell'Europa richiede un'azione europea urgente e concertata". Come afferma Melissa Fleming, portavoce dell'Alto commissariato parlando a Ginevra.

Posizione a cui si alinea il portavoce dell'Onu Stephane Dujarric, secondo il quale "l'Italia non puo" esser lasciata sola a far fronte alla crisi dell'immigrazione. "Non dovrebbe esser lasciato a un solo Paese il compito di far fronte al massiccio flusso di migranti", ha detto Dujarric invocando uno "sforzo internazionale"

Dichiarazioni che arrivano proprio mentre a Roma gli esperti della Commissione europea, delle autorità italiane e dell'agenzia europea per la protezione delle frontiere, Frontex, sono riuniti per discutere il possibile avvio di una missione rafforzata di Frontex nel Mediterraneo, definita "Frontex Plus". L'esito della riunione tecnica di oggi sarà discusso domani a Bruxelles dalcommissario Ue per gli affari interni, Cecilia Malmstrom e dal ministro dell'Interno, Angelino Alfano. Il titolare del Viminale è stato ricevuto oggi dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano che ha espresso "vivo apprezzamento" per le proposte che Alfano porterà a Bruxelles.

Il rapporto dell'Unhcr. Secondo gli al dati diffusi dall'Unhcr sono 156.827 le richieste d'asilo avanzate nei 28 paesi membri dell'Unione europea tra gennaio e maggio 2014. Di queste, 25.026 sono le domande arrivate in Italia tra il gennaio e il giugno 2014, provenienti soprattutto dal Mali (4.746), Nigeria (3.490), Gambia (3.367), Pakistan (2.979) e Senegal (1.964).

Una cifra che in sei mesi ha quasi raggiunto il totale delle richieste d'asilo pervenute in Italia nell'intero 2013, pari a 27.830. Il rapporto evidenzia anche la crescita del 32% delle domande d'asilo giunte nell'Ue nel 2013 (398.200) rispetto al 2012 (301.000).

Una percentuale in crescita che ha caratterizzato anche l'Italia. Negli ultimi due anni la Penisola passa dalle 17.350 richieste d'accoglienza del 2012 alle 27.830 del 2013, registrando un aumento del 60%. A detenere il primato delle domande fra i paesi industrializzata è stata la Germania, alla quale solo l'anno scorso si sono rivolti 109.600 migranti. Subito a seguire gli Stati Uniti (88.400), Francia (60.100), Svezia (54.300) e Turchia (44.800).

I richiedenti asilo provengono soprattutto dalla Siria, dalla Russia, dall'Afghanistan, dall'Iraq, dalla Serbia e dal Kosovo. Proprio la guerra civile ha reso la Siria il principale serbatoio mondiale di domande: nel 2013, sono state 56.400 le persone che chiedevano di essere riconosciute come rifugiati, più del doppio rispetto al 2012 (25.200) e sei volte di più rispetto al 2011 (8.500).

Tutto il mondo islamico condanna l’ISIS - Le dichiarazioni

Il Messaggero 
Le atroci immagini della decapitazione del giornalista americano James Fooley ad opera di un terrorista dello Stato Islamico (IS o ISIS), hanno sollevato indignazione in tutto il mondo. Parole durissime sono state espresse da Obama, Hollande, Cameron, e molti altri leaders. Un’affermazione ricorrente  è che i leaders musulmani non hanno ancora chiaramente e definitivamente preso le distanze dall’IS. Questa affermazione risulta essere totalmente priva di fondamento, e probabilmente condizionata dalla poca visibilità che hanno le maggiori istituzioni islamiche nei nostri media tradizionali.

Infatti in pochi sembrano essere a conoscenza delle posizioni del mondo islamico riguardo all’IS, malgrado il fatto che numerose autorità religiose musulmane, gruppi d’interesse, e Imams si siano riuniti per denunciare i crimini contro l’umanità dello Stato Islamico. Qui di seguito sono riportate le dichiarazioni delle maggiori istituzioni islamiche sparse nel mondo.

L’Organizzazione per la Cooperazione Islamica: lo Stato Islamico “non ha nulla a che fare con l’Islam,” i crimini commessi “non possono essere tollerati.” Il Segretario Generale per l’Organizzazione della cooperazione islamica, che rappresenta 1,4 miliardi di musulmani in 57 paesi in tutto il mondo, ha condannato la persecuzione da parte dello Stato islamico di cristiani e di altre minoranze religiose in Iraq, dicendo che la “deportazione forzata sotto la minaccia di morte dei cristiani” è un” crimine che non può essere tollerato “. Radio Vaticana riporta che il Segretario Generale ha anche allontanato l’Islam dalle azioni del gruppo militante noto come ISIS, dicendo che “non hanno nulla a che fare con l’Islam e i suoi principi, che richiedono la giustizia, la bontà, l’equità, la libertà di fede e di convivenza”. [Radio Vaticana]

Shawqi Allam, Gran Mufti Al-Azhar: lo Stato islamico è corrotto e rappresenta “un pericolo per l’Islam.” Il quotidiano libanese The Daily Star ha riferito che Gran Mufti Al-Azhar, Shawqi Allam, massima autorità religiosa egiziana, ha denunciato lo Stato islamico come una minaccia per l’Islam: “[Essi] offrono un’opportunità a coloro che cercano di farci del male, di distruggerci e interferire nei nostri affari con la pretesa di combattere il terrorismo.” [The Daily Star]

La Lega Araba: “denuncia con forza” i “crimini contro l’umanità” compiuti dallo Stato Islamico. L’11 agosto, Nabil al-Arabi, segretario generale della Lega Araba, ha denunciato gli atti commessi dallo Stato islamico in Iraq come “crimini contro l’umanità”, chiedendo che i colpevoli siano consegnati alla giustizia. Come riporta Al Arabiya News, Nabil al-Arabi “ha denunciato con forza i crimini, gli omicidi, l’espropriazioni effettuate dai terrorista dello Stato Islamico (IS) contro i civili e le minoranze in Iraq che hanno colpito i cristiani a Mosul e gli Yazidi.” [Al Arabiya News]

Mehmet Gormez, capo della direzione degli affari religiosi, la più alta autorità religiosa in Turchia: le minacce dello Stato Islamico sono “enormemente dannose” e “davvero orribili”. La Reuters riporta quanto segue:

“Tali dichiarazioni non hanno alcuna legittimità,” afferma Mehmet Gormez, capo della direzione degli affari religiosi, la più alta autorità religiosa in Turchia, che, pur essendo un paese a maggioranza musulmana, è uno stato laico dal 1920. “Da quando il califfato è stato abolito … ci sono stati movimenti che pensano di poter mettere insieme il mondo musulmano ristabilendo un califfato, ma non hanno nulla a che fare con la realtà, sia dal punto di vista politico che giuridico.” Gormez ha dichiarato che le minacce di morte contro i non-musulmani da parte dell’IS, precedentemente noto come Stato islamico in Iraq e Levante (ISIL), sono estremamente dannose. “La dichiarazione fatta contro i cristiani è veramente terribile. Gli studiosi islamici hanno bisogno di concentrarsi su questo perché l’incapacità di sostenere pacificamente altre fedi e culture annuncia il collasso di una civiltà”. [Reuters]

Il Council on American-Islamic Relations (CAIR): ha condannato l’IS come “non-islamico e moralmente ripugnante” e ha sottolineato che le sue “violazioni dei diritti umani sono ben documentate”. Il CAIR ha invitato gli altri leader della comunità musulmana a parlare contro la violenza dell’IS. Il 21 agosto il CAIR ha nuovamente condannato il gruppo terroristico, dichiarando che l’uccisione del giornalista americano James Foley è un atto “raccapricciante e barbaro”:

“Condanniamo con forza questo omicidio raccapricciante e barbaro come una violazione delle credenze islamiche e delle norme internazionali universalmente accettate vincolanti alla protezione dei prigionieri e giornalisti durante i conflitti. Le Convenzioni di Ginevra, il Corano – testo rivelato dell’Islam – e le tradizioni (hadith) del Profeta Muhammad tutte richiedono che i prigionieri non siano danneggiati in alcun modo. Non ci può essere alcuna scusa o giustificazione per tali azioni criminali e sanguinarie. Chiediamo anche a coloro che detengono Steven Sotloff e altri prigionieri di rilasciarli illesi immediatamente in modo che possano tornare dai loro cari.” [Council on American-Islamic Relations7/7/201411/8/201420/8/2014]

The Muslim Council Of Great Britain (MCB): “La violenza non ha posto nella religione.” The Muslim Council Of Great Britain ha condannato le azioni dello Stato Islamico e ha dichiarato che esse non rappresentano in alcun modo i musulmani. Shuja Shafi, un membro del consiglio ha anche detto: “La violenza non ha posto nella religione, la violenza non ha religione. E ‘vietato per le persone offrirsi per la distruzione. [The Independent]

L’Islamic Society of North America: “Le azioni dello Stato islamico devono essere denunciate con la massima forza e non sono in alcun modo rappresentative di ciò che l’Islam in realtà insegna.” L’ Islamic Society of North America (ISNA) ha rilasciato una dichiarazione che denuncia lo Stato islamico “per i suoi attacchi contro l’Iraq, le minoranze religiose e la distruzione dei loro luoghi di culto”, ha detto il presidente dell’ISNA Imam Mohamed Magid, il quale ha anche aggiunto che “le azioni dell’ISIS contro le minoranze religiose in Iraq violano l’insegnamento coranico.” [The Islamic Society of North America]

100 Imams sciiti e sunniti rilasciano un video di condanna per le azioni dell’IS. Come già pubblicato dall’Huffington Post, 100 imam sunniti e sciiti provenienti dal Regno Unito si sono riuniti per produrre un video di denuncia dello Stato islamico: “ci siamo riuniti per sottolineare l’importanza dell’unità nel Regno Unito e decretare l’ISIS come illegittimo, gruppo vizioso che non rappresenta l’Islam in alcun modo.” [Huffington Post]

Il grand mufti, Abdulaziz al-Sheikh: la più alta autorità religiosa dell’Arabia Saudita, il grand mufti, Abdulaziz al-Sheikh, ha detto che il terrorismo è anti-islamico e i gruppi come lo Stato islamico che praticano la violenza sono il “nemico numero uno dell’Islam”:

“Le idee e militanti estremisti e il terrorismo che diffondono decadimento sulla Terra, distruggendo la civiltà umana, non sono in alcun modo parte dell’Islam, ma sono il nemico numero uno dell’Islam e i musulmani sono le prime vittime.”[Al Jazeera]

Il Muslim Public Affairs Council (MPAC): ha condannato l’IS e ha chiesto “resistere all’estremismo.” Il 20 agosto, il Muslim Public Affairs Council (MPAC) ha rilasciato una dichiarazione che condanna “la barbara esecuzione del giornalista americano James Foley per mano dello Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (ISIS).” Il MPAC ha esortato “tutte le persone di coscienza a prendere posizione contro l’estremismo” e ha offerto le condoglianze alla famiglia di Foley. Il MPAC anche sottolineato l’importanza di contrastare l’ISIS e tutti gli altri gruppi estremisti lavorando “per potenziare il mainstream e relegare gli estremisti alla irrilevanza che meritano.” [Muslim Public Affairs Council]

Alla luce di tutte queste dichiarazioni, è legittimo chiedersi perché la maggior parte del mondo islamico pacifico, tollerante, moderato, riceva così poca visibilità? Non sono forse loro i migliori alleati possibili contro il terrorismo?

Spetta  a tutti noi, cristiani, islamici, di qualsiasi religione, razza e colore, capire. Si capire. Si è polemizzato molto su questa parola “capire”. Non di certo bisogna capire i gesti inumani di questi terroristi. Bisogna capire piuttosto come dalla guerra in Iraq e Afghanistan durata più di 10 anni, e avviata per “esportare la democrazia” e “combattere il terrorismo nel mondo” si sia giunti allo Stato Islamico. C’è da capire se la guerra sia lo strumento più adatto a sconfiggere la minaccia del terrorismo, o se essa debba essere affiancata o sostituita da altri mezzi. Una cosa è certa: sconfiggere il terrorismo non può e non deve essere un compito delegato alle sole potenze occidentali, ma deve avvenire tramite una risposta coordinata da parte di tutta la comunità internazionale.

Siria: Onu, da Isis crimini contro l'umanità esecuzioni di piazza, reclutati anche bambini di 10 anni

AnsaMed
Ginevra - Mentre si riaccende il fronte del Golan, con Israele che ha risposto al fuoco da oltre confine dove si scontravano le forze di Assad e milizie di ribelli di marca anche qaedista, la Commissione Onu di inchiesta sulla Siria accusato i jihadisti dell'Isis, oltre alle forze governative siriane, di crimini di guerra e crimini contro l'umanità.
Le forze governative hanno commesso massacri, attacchi, torture ed altre violazioni che "equivalgono a crimini cotro l'umanità", afferma la Commissione nel suo ultimo rapporto reso noto oggi a Ginevra. L'Isis, da parte sua, rappresenta "un chiaro pericolo per i civili e in particolare per le minoranze sotto il suo controllo" in Siria e Iraq. Secondo il rapporto, bambini di appena 10 anni sono stati reclutati dai miliziani dai jihadisti dell'Isis attivi in Siria e in Iraq. E nelle zone in Siria controllate dall'Isis, in particolare nel nord e nord-est del Paese, si svolgono regolarmente esecuzioni, amputazioni e flagellazioni in piazza ogni venerdi' I civili, compresi i bambini, sono invitati ad assistere al macabro rituale. I corpi delle persone uccise vengono lasciati in mostra per giorni, per terrorizzare la popolazione. E le donne sono flagellate anche per il mancato rispetto del codice d''abbigliamento dell'Isis.

Per la commissione, la comunità internazionale deve imporre un embargo sulle armi in Siria ed arginare la proliferazione e la fornitura di armamenti nel Paese in conflitto. Le armi trasferite alle parti in conflitto in Siria, sia governativi sia ribelli, "sono utilizzate nella perpetrazione di crimini di guerra, crimini contro l'umanità e violazioni dei diritti umani", ammonisce la Commissione nel documento reso noto oggi a Ginevra Alcuni Stati - denuncia il rapporto senza identificarli - continuano a fornire armi, artiglieria e aerei o assistenza logistica e strategica al governo siriano. Altri Stati, organizzazioni o individui sostengono i gruppi armati ribelli con armi e sostegno finanziario.

Ma la Commissione Onu ha accusato anche le forze governative siriane di aver usato armi chimiche, probabilmente cloro, in aprile in Siria occidentale. "Vi sono fondati motivi di credere - dice - che agenti chimici, probabilmente cloro, siano stati usati su Kaif Zeita, Al-Tamana'a e Tel Minnis in otto incidenti nel corso di un periodo di dieci giorni in aprile. Vi sono fondati motivi di credere che questo agenti siano stati lanciati in barili bomba da elicotteri del governo"

[...]


mercoledì 27 agosto 2014

Kenya, conferenza su tortura: Crimine ancora diffuso nella regione

LaPresse/AP
Naivasha (Kenya) - Il ricorso alla tortura è ancora molto diffuso nell'Africa orientale, come affermano gli esperti di diritti umani di cinque Paesi della regione e del Congo, riuniti in Kenya. Nonostante gli Stati dell'area abbiano fatto progressi nella ratifica della Convenzione delle Nazioni unite contro la tortura, tale abuso continua a essere perpetrato e i governi appaiono riluttanti a redarre e implementare leggi locali, aggiungono gli esperti, riuniti in conferenza a Naivasha.

Riuscire a punire i responsabili delle torture, proseguono, è ancora molto difficile poiché nella maggior parte dei casi si tratta di agenti governativi e, nei casi in cui i tribunali hanno fissato il pagamento di risarcimenti, i governi si rifiutano di rispettare la sentenza.

Peter Kiama, del gruppo per i diritti umani keniota Independent Medico-Legal Unit, ha dichiarato che l'Africa orientale affronterà presto nuove sfide riguardanti la tortura e i diritti umani, a causa degli espropri che saranno eseguiti per cercare risorse naturali come petrolio e carbone.

Brasile: dopo le concessioni della direzione cessata la rivolta nel carcere di Cascavel, 5 detenuti uccisi

Il Velino
È terminata dopo due giorni la sanguinosa rivolta in un carcere nella città meridionale di Cascavel, in Brasile. Le due guardie carcerarie ancora tenute in ostaggio sono state liberate. 

Almeno cinque detenuti, riporta "O Globo", sono stati uccisi nelle ultime 48 ore. Due sono stati decapitati mentre altri due sono morti dopo essere stati spinti giù dal tetto della prigione.

La maggior parte dei detenuti, che chiedeva migliori condizioni, è ora stata trasferita in altre prigioni dello stato di Parana. 

I detenuti e funzionari della prigione hanno raggiunto un accordo per porre fine alla situazione di stallo dopo ore di colloqui. 

In base all'accordo, i detenuti hanno promesso di liberare le due guardie carcerarie dietro la promessa di un trasferimento in altre prigioni.

Iraq, i turcomanni assediati dall’Isis. L’allarme dell’Onu: “Si rischia il massacro”

La Stampa
I jihadisti dello Stato islamico minacciano gli sciiti della città di Amerli. L’ayatollah Al-Sistani: «Bisogno andare in loro soccorso».
Amerli
Dopo l’assedio agli yazidi sul Monte Sinjar, adesso sono gli sciiti turcomanni della città di Amerli che rischiano la carneficina, circondati da settimane dai jihadisti dello Stato islamico. Ieri il grande ayatollah Ali Al-Sistani, la massima autorità religiosa sciita dell’Iraq, aveva lanciato l’allarme e chiesto alle autorità di “andare in soccorso degli abitanti di questa città”.

“La situazione degli abitanti è disperata e necessita di un intervento immediato per impedire un possibile massacro”, gli ha fatto eco oggi il rappresentante speciale dell’Onu a Baghdad, Nickolay Mladenov, invitando il governo iracheno a “fare il possibili per rompere l’assedio e permettere agli abitanti di ricevere aiuti umanitari vitali o di lasciare la città in condizioni degne”. Questa città di circa 20mila abitanti è circondata ormai da fine giugno dalle milizie jihadiste dello Stato Islamico e lamenta scarsità di cibo e altri generi di prima necessità.

Tregua a Gaza, c'è l'intesa, "sarà duratura" tra Hamas e Israele

ANSA
La guerra a Gaza dopo 50 giorni è finita: l'Egitto è riuscito a mettere d'accordo Hamas e Israele per un cessate il fuoco "illimitato". [...]

L'accordo - annunciato da Hamas e confermato a nome dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) dal presidente Abu Mazen con un messaggio tv - ha posto fine alla più lunga operazione di Israele nei confronti della Striscia, cominciata lo scorso 8 luglio dopo il continuo lancio di razzi da Gaza.

Spari in aria e grida di gioia: "Dio è grande, la resistenza palestinese ha vinto". Un fiume di gente si è riversato per le strade di Gaza per festeggiare la notizia del cessate il fuoco "illimitato" raggiunto con la mediazione egiziana. Dalle tv controllate da Hamas, i portavoce della fazione islamica parlano di "grande vittoria" contro Israele.

L'intesa è stata salutata da un sospiro di sollievo da più parti: gli Stati Uniti, ha affermato Jen Psaki, portavoce del Dipartimento di Stato, esprimono "sostegno totale". Il ministro degli Esteri Federica Mogherini ha detto che "ora è necessario che israeliani e palestinesi avviino al più presto negoziati per una tregua duratura e un'intesa politica che porti finalmente a una soluzione stabile del conflitto". 

Nel dare il benvenuto alla tregua a Gaza, il Segretario Generale dell'Onu Ban Ki moon ha auspicato che il cessate il fuoco "sia un preludio a un processo politico come unica strada per raggiungere una pace duratura". 

Gli Usa "sostengono fortemente l'accordo di cessate il fuoco" tra Israele e Hamas e auspicano "che sia sostenibile e duraturo", ha affermato il segretario di Stato John Kerry, aggiungendo che "appena sara' ripristinata la calma dovra' essere accelerata la necessaria assistenza alla popolazione di Gaza, e gli Stati Uniti e la comunita' internazionale sono pienamente impegnati a sostenere tale sforzo".

In questi 50 giorni di guerra su Israele sono caduti - secondo l'esercito - 4562 razzi e colpi di mortaio, mentre l'aviazione israeliana ha attaccato 5262 obiettivi a Gaza. E in Israele non tutti sembrano d'accordo con il cessate il fuoco.

L'accordo per il cessate il fuoco a Gaza prevede, "simultaneamente", una serie di misure per togliere il blocco alla Striscia e "andare incontro ai bisogni della popolazione". E' quanto afferma una fonte palestinese che ha chiesto l'anonimato all'agenzia egiziana Mena.

[...]

martedì 26 agosto 2014

Laos: cinque cristiani riconosciuti non colpevoli di omicidio, ma ancora detenuti

Agenzia Fides
Cinque cristiani accusati dell'omicidio di una donna convertitasi al cristianesimo nella provincia di Savannakhet, sono stati riconosciuti "non colpevoli", ma non sono ancora stati rilasciati. 

Come riferito all'Agenzia Fides dall'organizzazione "Human Rights Watch per Lao Religious Freedom" (Hrwlrf) i cinque accusati sono il Pastore Kaithong, altri tre leader di nome Puphet, Muk e Hasadee, e un altro cristiano conosciuto come Tiang. Sono detenuti dal 23 giugno senza aver commesso alcun reato e nessuna data è stata fissata per il loro rilascio.

I cinque cristiani furono accusati di aver ucciso la signora Chan, una donna convertitasi al cristianesimo, deceduta dopo due anni di malattia. I cinque, conoscendo le sue gravi condizioni di salute, erano andati a visitarla nel villaggio di Atsaphangthong, per portarle conforto. Deceduta mentre i cinque erano là, ai cristiani locali è stato anche impedito di celebrare per lei un funerale cristiano. Le autorità di polizia hanno poi arrestato il Pastore Kaithong e gli altri quattro cristiani, accusandoli di aver avvelenato la donna.

Quella di Savannakhet risulta essere una delle peggiori province per le violazioni della libertà religiosa in Laos: negli ultimi anni sono stati frequenti episodi di minacce, sfratto, arresto e detenzione, interruzione di incontri e servizi religiosi, a danno dei cristiani locali.

L'Ong Christian Solidarity Worldwide, che monitora la libertà religiosa nel mondo, invita il governo provinciale di Savannakhet a rilasciare subito i cinque cristiani innocenti.

Carcere di Civitavecchia - Donna tossicodipendente si suicida a 4 mesi del fine pena

Rassegna.it
"La donna che si è tolta la vita nel carcere di Civitavecchia sarebbe uscita dall'istituto fra quattro mesi, il prossimo dicembre. Una persona che, a poche settimane dal fine pena, decide di negarsi in maniera tanto drammatica ogni speranza per il futuro dovrebbe farci riflettere sulla reale capacità della pena di tutelare i detenuti e di garantirne il pieno recupero". 

Lo dichiara, in una nota, il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni in merito al suicidio di una detenuta del carcere laziale avvenuto sabato 23 agosto.

La donna - riferisce il Garante - era una cittadina italiana, in carcere dal 2011 per una serie di reati comuni. Aveva problemi di dipendenza dalle droghe e avrebbe manifestato negli ultimi tempi un forte disagio e, per questo, era stata sottoposta in carcere alle misure previste in questi casi.

"Il gesto di questa donna - ha proseguito Marroni - riaccende per l'ennesima volta i riflettori sull'utilità della detenzione per i tossicodipendenti e, più in generale, per tutti coloro che sono affetti da malattie. 

Il carcere è un ambiente duro che piega la resistenza dei più forti, figurarsi di quanti vivono una situazione di disagio psicologico. Nel caso specifico anche il momento del fine pena, se non affrontato con adeguati sostegni, per i soggetti più deboli può essere drammatico".

lunedì 25 agosto 2014

Iran: almeno 11 detenuti impiccati nella prigione di Qezel Hessar a Karaj - Rivolta nel carcere

www.ncr-iran.org
La mattina del 18 agosto almeno 11 detenuti sono stati impiccati nella prigione Qezel Hessar nella città di Karaj (ad ovest di Teheran). Sono stati resi noti i nomi di quattro delle vittime: Hamed Rabii, Milad Rabii, Ebrahim e Mansour.

Domenica pomeriggio, in seguito al trasferimento dei loro compagni di cella nella sala delle esecuzioni, numerosi detenuti del secondo reparto della prigione di Qezel Hessar hanno inscenato una protesta. Forze speciali antisommossa li hanno attaccati e hanno aperto immediatamente il fuoco, uccidendo o ferendo decine di loro. Secondo resoconti iniziali, almeno cinque detenuti sono stati uccisi.

Le forze speciali hanno circondato il secondo e il terzo reparto della prigione, dove si trovano i detenuti dei bracci della morte. Nello stesso tempo, forze di repressione hanno attaccato i familiari dei prigionieri che si erano radunati all'esterno per protestare contro le uccisioni dei loro figli, e hanno cercato di disperderli lanciando gas lacrimogeni e sparando in aria.

La signora Maryam Rajavi, Presidente-eletta della Resistenza Iraniana, ha detto che le esecuzioni arbitrarie e di massa dei prigionieri e l'aprire il fuoco su persone inermi riflettono la crudeltà del fascismo religioso al potere in Iran da una parte, e le sue vulnerabilità e disperazione dall'altra. La signora Rajavi ha aggiunto che con torture, esecuzioni, intimidazione e terrore i criminali mullah stanno tentando di fermare l'aumento delle proteste popolari.

Evidenziando che il silenzio della comunità internazionale di fronte a queste atrocità ha ferito la coscienza del pubblico mondiale, la signora Rajavi ha rivolto un appello al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, al loro Segretario Generale, all'Unione Europea, agli Stati Uniti e a tutte le organizzazioni per i diritti umani affinché condannino con decisione tali crimini. Ella ha affermato che continuare ed espandere i legami economici con il regime clericale deve avvenire a condizione di un blocco delle esecuzioni e del miglioramento della situazione dei diritti umani in Iran. La signora Rajavi ha aggiunto: "Chiudere gli occhi sugli abusi dei diritti umani in Iran con il pretesto di impegnarsi in colloqui sul nucleare non farebbe che incoraggiare i mullah al potere a perpetrare più atrocità e a continuare il suo disprezzo per le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'Onu".

Pena morte: Cina, dopo otto anni libero da braccio della morte. Aveva confessato sotto tortura

OnuItalia
Pechino – Libero dal braccio della morte dopo otto anni di appelli: Nian Bin era stato condannato quattro volte alla pena capitale per aver avvelenato due bambini nell’est della Cina. Oggi i giudici lo hanno dichiarato non colpevole e ne hanno ordinato la scarcerazione: fine improvvisa di una odissea che, secondo i suoi avvocati, e’ un paradigma esemplare della riluttanza del sistema giudiziario cinese di ammettere i suoi errori.
Nian – riporta il New York Times nel blog Sinosphere – aveva ammesso di aver “messo materiali pericolosi” – veleni – solo sotto tortura dopo essere stato arrestato. Ci sono voluti un processo, tre appelli, tre nuovi processi e un riesame da parte della corte suprema per concludere che le prove portate dai suoi accusatori erano piene di inconsistenze.

“Papa’, sono tornato”, ha scritto Nian in una lettera ai genitori pubblicata sul sito cinese The Paper dopo esser stato esonerato dalle accuse. “Pensavo che solo in un altro mondo sarei riuscito a raccontarvi quello che ho passato”, ha scritto l’ex condannato: “Per otto anni un uomo con una vita normale, senza malattie o altri problemi, e’ stato costretto e legato sul ciglio della morte”.

Nian era stato arrestato nel 2006 dopo una serie di avvelenamenti in sei quartieri della contea di Pingtan a Fujian. La polizia lo aveva accusato di aver usato i veleni per vendicarsi di chi aveva rubato clienti dal suo negozio di alimentari.

domenica 24 agosto 2014

25 anni fa muore Jerry Masslo la sua morte cambiò la storia dell'immigrazione in Italia

Redattore Sociale
Lunedì a Villa Literno la commemorazione del giovane migrante ucciso il 24 agosto di 25 anni fa e divenuto simbolo della violenza razziale nel nostro Paese, tanto da segnare il dibattito politico in corso negli anni '90

CASERTA - Una manifestazione per non dimenticare e per rilanciare il dibattito sui migranti nel periodo degli sbarchi continui sulle nostre coste. Si terrà lunedì a Villa Literno (in Terra di Lavoro) in memoria di Jerry Essan Masllo, il giovane profugo sudafricano ucciso il 24 agosto di 25 anni fa e divenuto simbolo della violenza razziale nel nostro Paese, tanto da segnare il dibattito politico in corso negli anni '90 e da accelerare il processo per la promulgazione della prima legge in materia di immigrazione, la legge Martelli. 

Arrivato in Italia nel 1988 dal Sudafrica dove esisteva ancora l'apartheid, Masllo ebbe riconosciuto lo status di rifugiato solo dalle Nazioni Unite e non dall'Italia (all'epoca era previsto solo per i migranti dell’Europa dell’Est). Dopo essere stato accolto alla Tenda di Abramo, centro della Comunità di Sant'Egidio a Roma, dove frequentò la Scuola di lingua italiana, la mensa della Comunità e la Chiesa battista, Jerry Masllo si trasferì nel 1989 a Villa Literno per la raccolta dei pomodori. Qui la sera del 24 agosto, nella casupola abbandonata dove viveva con i suoi amici, si oppose all'aggressione di alcuni giovani che volevano derubarli, e per questo fu sparato e ucciso.

"La sua morte sconvolge l'Italia - ricorda Daniela Pompei della Comunità di Sant’Egidio - Per la prima volta i funerali di un nero sono trasmessi dalla Rai: alle esequie sono presenti il vicepresidente del Consiglio dei ministri Claudio Martelli e altre autorità. Le associazioni e i sindacati si mobilitano. Nell’ottobre del 1989 si svolge a Roma la prima grande manifestazione antirazzista con la partecipazione di oltre 150 mila persone. Questo anniversario si colloca nei giorni in cui si dibatte se continuare o meno l’operazione Mare Nostrum. La memoria vigile e partecipe di un giovane profugo morto ucciso cinque lustri fa è un atto dovuto a lui e ai tanti che oggi muoiono cercando vita speranza e futuro in Europa. Il volto, il nome, la storia, la morte di Jerry può, oggi come allora, restituire respiro e spessore a un dibattito troppo spesso poco lungimirante e forse troppo animato da egoismi nazionali".

Dopo la morte di Jerry Masllo la legge Martelli, tra le altre cose, eliminò la clausola geografica e in Italia si poté chiedere asilo provenendo da qualsiasi Paese del mondo. Lunedì sarà ricordato in una Villa Literno profondamente cambiata, dove i lavoratori stagionali convivono pacificamente con la popolazione locale, e i loro bambini frequentano la scuola.

Secondo il programma, alle 16,00 vi sarà la commemorazione presso la tomba nel cimitero di Villa Literno, cui seguirà alle 17.30 una preghiera nella chiesa Maria Assunta in Cielo curata dalla Comunità di Sant'Egidio e alle 18.00 nella Sala Splendore, nella piazza del Municipio del paese, vi sarà un dibattito con interventi di personalità e associazioni impegnate nell’ambito dell’integrazione. Si rievocherà la figura di Jerry Masllo e si discuterà delle tematiche connesse al tema dell’accoglienza ai profughi e dell’operazioneMare nostrum. «Sono sotto gli occhi di tutti le immagini dei barconi che portano uomini, donne, bambini: fuggono dalle guerre, dalla violenza e dalla fame - conclude Daniela Pompei - E’ una spinta per l’Europa perché viva un nuovo umanesimo e una nuova accoglienza. C’è bisogno, come nel 1989, di un soprassalto delle coscienze e di una visione meno impaurita, aperta al futuro, perché aperta agli uomini e alle donne che cercano protezione e pace». (ip)

sabato 23 agosto 2014

Arabia Saidita - Allarme HRW: 19 decapitazioni nel solo mese di agosto

L'Osservatore d'Italia
La denuncia dell'organizzazione mondiale “Human Rights Watch” fa emergere il problema della pena di morte. I reati puniti riguardano atti di stregoneria e vendita illegale di droga.

L’Arabia Saudita, nel solo mese di agosto, ha applicato la pena di morte per decapitazione su almeno 19 persone. Se si contano tutte le esecuzioni dell’anno, i morti arrivano a 34.

Secondo lo “Human Rights Watch”, un’organizzazione internazionale che si occupa della difesa dei diritti umani, la pena capitale dovrebbe essere applicata solamente ai crimini più efferati, sebbene si tratti comunque di una pratica che andrebbe eliminata dalle istituzioni di tutto il mondo.

Il fatto eclatante è che i crimini commessi da queste persone riguardano traffici illegali di droga e stregoneria.

Il re dell’Arabia Saudita, Abdullah bin Abdulaziz Al Saud, insieme al governo del Paese, ha dato il via a questo giro di vite per contrastare il fenomeno dei narcotrafficanti. Il 18 agosto sono stati uccisi ben 4 spacciatori di droga e chiunque farà la stessa cosa “verrà punito secondo la legge della Shari’a, la legge di Dio”, ha dichiarato lo stesso re.

La Shari’a, però, prevede la pena di morte solamente per i crimini di omicidio ingiusto di un musulmano, adulterio, bestemmia e apostasia. Tutte le altre condanne sono disposizioni legislative.

Mohammed bin Bakr al-Alawi è stato ucciso il 5 agosto per aver praticato atti di stregoneria, mentre il 25 agosto, Hajras al-Querey verrà decapitato per traffico di droga, sebbene soffra di disturbi psichici e non sapesse di avere la droga dentro l’auto al momento dell'arresto.

I processi sono spesso sommari e le future vittime sono obbligate a confessare attraverso la pratica di torture.

“È una macchia per tutti i diritti dell’uomo - ha dichiarato Sarah Leah Witson, direttrice del HRW per il Medio Oriente - e le esecuzioni per i crimini di stregoneria o spaccio sono sconcertanti perché questi atti illegali di per sé non prevedono l’uccisione di nessuna persona.”

“Le autorità devono fermare questa pratica. - queste le parole di Said Boumedouha di Amnesty International - La pena di morte è sempre sbagliata ma per crimini di questo tipo ancor di più.”


di Maurizio Costa

Siria, Onu: oltre 191mila morti documentati dal 2011 e denuncia paralisi internazionale

ANSA
Sono oltre 191mila le persone uccise in tre anni di conflitto in Siria: lo rivela un rapporto delle Nazioni Unite reso noto a Ginevra. Il dato, più che raddoppiato rispetto ai 93mila morti segnalati circa un anno fa, riguarda solo i casi documentati e si tratta "senza dubbio di una sottovalutazione del numero reale", afferma l'Onu.


"La paralisi internazionale" ha incoraggiato gli "assassini, i torturatori e i devastatori in Siria". Lo ha denunciato a Ginevra l'Alto commissario Onu per i diritti umani Navi Pillay.

Secondo un altro rapporto, dell'Osservatorio nazionale dei diritti umani in Siria (Ondus), le persone uccise in Siria dalla metà di marzo 2011, inizio delle prime proteste pacifiche anti-regime represse nel sangue, al 2 agosto scorso sono 180.215, tra cui 58.805 civili. Di questi, 9.438 sono minori e 6.032 sono donne. Tra gli armati, 68.780 sono gli uccisi tra le forze del regime e dei loro alleati mentre 49.699 sono  i morti nel variegato fronte delle opposizioni. I combattenti non siriani morti in Siria sono oltre 18mila, tra jihadisti ed estremisti sunniti di diverse nazionalità e numerosi jihadisti sciiti libanesi e iracheni giunti in sostegno del regime di Damasco.

Kurdistan - Il piccolo monastero iracheno che accoglie 164 rifugiati

Avvenire 
Erano soltanto in tre, due monaci e una monaca, nel piccolo monastero di Sulaymaniyya, nel Kurdistan iracheno. Dalla comunità al Khalil, fondata a Mar Musa in Siria da padre Paolo Dall'Oglio, del quale da oltre un anno non si hanno notizie, in tre erano andati, ormai due anni fa, nel piccolo monastero per presidiare il sito dedicato alla Vergine Maria. Per pregare e accogliere i giovani cristiani, soprattutto l'estate, che qui accorrevano per i loro ritiri. E invece da alcune settimane si sono trovati ad accogliere decine di rifugiati.

"Eravamo tre - racconta Sébastien Duhaut, monaco della comunità, alla rivista dei gesuiti, Popoli - e ora eccoci in 164". A far crescere la popolazione del convento sono i rifugiati della regione di Mossul, cacciati dai loro paesi a causa dell'avanzata dello Stato islamico. Gli sfollati hanno occupato un po' tutti gli spazi a disposizione: "Sono alloggiati in qualche modo, anzi stipati nella biblioteca, nel salone, nella chiesa, nella casa dei monaci, oltre che in qualche casa abbandonata che abbiamo pulito in fretta e messo a posto nei giorni scorsi", racconta il monaco. Il mese di agosto doveva essere dedicato ai campi estivi per i giovani cristiani iracheni, uno per le ragazze e l'altro in stile scout, con camminate e notti trascorse sulle montagne, con un programma di preghiere, meditazioni e condivisione.

"Invece è con noi questa massa di persone - scrive nella sua lettera padre Sébastien -, alcune profondamente traumatizzate, fragili e sradicate più volte dal loro ambiente". E la convivenza forzata non è sempre un idillio: accanto a gesti di solidarietà ci sono anche piccoli egoismi.

"La situazione di crisi - racconta infatti con franchezza il monaco - a volte favorisce slanci di solidarietà ammirevoli, ma anche tensioni egoiste difficili da immaginare. C'è la famiglia che preferisce cucinare nella propria camera piuttosto che in cucina per non rischiare di condividere il fornello con altri rifugiati. Una decina di medici curdi e arabi, invece, dedicano cinque ore del loro tempo per proporre visite a tutti quelli che lo desiderano, utilizzando come studio una pila di materassi collocati in chiesa. Un idraulico di Qaraqosh, papà di un neonato, lavora dieci ore al giorno per portare l'acqua in tutte le case e rifiuta del tutto di farsi pagare". Padre Sébastien non ha dubbi: "Occorrono luoghi per la misericordia, momenti di tenerezza collocati in questa geopolitica di guerra" e "i monasteri devono essere tali luoghi".

Libia: 170 immigrati dispersi in mare Guardia costiera locale, 16 salvati, 15 i corpi recuperati

Ansa

Circa "170 migranti provenienti dall'Africa sub-sahariana sono dati per dispersi dopo il naufragio di un barcone di legno a Guarakouzi ad una sessantina di chilometri a est di Tripoli" in Libia. 

Lo ha reso noto Abdellatif Mohammed Ibrahim, della guardia costiera locale, aggiungendo che "16 persone sono state salvate", mentre sono "15 i corpi recuperati".

Egitto, dopo il blogger Alaa Abdel-Fattah altri attivisti in carcere in sciopero della fame

Adnkronos/Aki
Il Cairo, Si allarga in Egitto la protesta degli attivisti in carcere. Dopo il blogger egiziano Alaa Abdel-Fattah, in sciopero della fame da lunedì in segno di protesta contro la sua detenzione, sono in sciopero della fame anche il fondatore del movimento giovanile del 6 Aprile, Ahmed Maher, l'attivista del gruppo Mohamed Adel, il noto attivista Ahmed Douma e il fotoreporter Mohamed Abdel Moneim (Al-Noubi). Tutti, si legge sul giornale Ahram Online, protestano da ieri sera contro la loro detenzione.

"Gli attivisti detenuti proseguiranno con lo sciopero della fame fin quando non verranno rilasciati", ha detto Zizo Abdo, membro del 6 Aprile, in dichiarazioni ad Ahram Online.

Abdel-Fattah e Al-Noubi sono detenuti in attesa di un nuovo processo con l'accusa di aver violato la nuova legge sulle manifestazioni. Maher, Adel e Douma sono stati condannati lo scorso dicembre a tre anni di carcere e al pagamento di una multa sulla base della stessa normativa.

venerdì 22 agosto 2014

Sri Lanka, deportati 100 immigrati appartenenti ad una minoranza perseguitata in Pakistan

MISNA
Le organizzazioni della società civile e l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) hanno condannato oggi la deportazione di oltre 100 pakistani, tra cui donne e bambini, richiedenti asilo, per lo più appartenenti alla minoranza Ahmadi, in violazione del diritto internazionale.


“Queste deportazioni sono in violazione del diritto internazionale consuetudinario che impone a tutti i paesi di rispettare il principio di non respingimento, di non ritorno forzato per i paesi in cui le persone affrontano rischi imminenti. Allo stesso tempo queste espulsioni violano l’articolo 3 della Convenzione contro la tortura e altri trattamenti crudeli, inumani o trattamenti o punizioni degradanti, che lo Sri Lanka ha ratificato” hanno sottolineato le organizzazioni in una dichiarazione congiunta.

Nella nota, inoltre, si afferma che le deportazioni sono in corso senza sosta, nonostante una sentenza di tribunale della settimana scorsa che ha ordinato alle autorità di fermare la deportazione dei richiedenti asilo, registrati presso l’Unhcr, fino alla fine di agosto. Il governo dello Sri Lanka dice che i richiedenti asilo sono parte di un afflusso di immigrati economici dal Pakistan, che pongono sotto pressione le risorse limitate del paese e costituiscono una potenziale minaccia per la sicurezza regionale.

La maggior parte dei richiedenti asilo pakistani sono Ahmadi, musulmani sciiti e cristiani che temono persecuzioni nel proprio paese.

[PL]

Mali, bambini soldato vittime due volte: prima arruolati a combattere, adesso in carcere con gli adulti

La Repubblica
A due anni e mezzo dallo scoppio del conflitto che ha portato all'intervento della Francia, Amnesty International denuncia la costante violazione dei diritti umani dei più piccoli. Prima schiavizzati e costretti a combattere, sono detenuti nelle carceri assieme agli adulti.


Come se il dramma di essere arruolati e costretti a combattere non bastasse, per molti bambini maliani al di sotto dei 16 anni si aggiunge anche il pericolo di essere arrestati e rinchiusi lontano da casa, senza supporto legale e privi della vicinanza dei propri cari. A dirlo è il rapporto di Amnesty International "Mali: tutte le parti in conflitto devono porre fine alle violazioni dei diritti umani".

Bambini soldato. Sono molte le violazioni dei diritti che riguardano i bambini maliani dall'inizio del conflitto nel 2012. Sia le truppe filo governative che i gruppi ribelli hanno assoldato minorenni nei propri eserciti e armati li hanno mandati alla guerra. Un numero considerevole dei bambini soldato sono stati arrestati dalle autorità del Mali e imprigionato senza adeguate misure di protezione, insieme agli adulti e senza garanzie di riabilitazione. Le accuse a loro carico sono di essere guerriglieri ribelli e di possedere illegalmente armi da fuoco. Gran parte è detenuta nel carcere di Bamako dove Amnesty è riuscita ad entrare e raccogliere le testimonianza dei piccoli prigionieri.

"I bambini - sottolinea Gaetan Mootoo, ricercatore di Amnesty per l'Africa occidentale - hanno sofferto molto nel corso di questo conflitto. Molti di loro sotto i 16 anni sono stati reclutati come bambini soldato e dopo esser stati accusati di essere membri di gruppi armati, sono detenuti insieme agli adulti e senza consulenza legale".

Lontani dalle famiglie. Tutti gli intervistati hanno affermato di non aver ricevuto visite dai propri familiari. Uno dei motivi potrebbe essere la lontananza: Bamako infatti dista circa 900 chilometri dalle loro case, una distanza difficilmente percorribile dalle famiglie sia per motivi geografici che economici. Tuttavia Amnesty riferisce di una coppia di genitori cui è stato negato d'incontrare loro figlio ed è stata allontanata dalle forze dell'ordine.

"Al momento del mio arresto - racconta un detenuto minorenne arrestato a febbraio 2014 - ero in un centro dove è possibile farsi vaccinare . I soldati sono arrivati e mi hanno accusato di essere un islamista. Ho detto loro che ero un pastore e non un islamista, ma mi hanno portato nel carcere di Timbuktu dove sono rimasto per un mese poi mi hanno trasferito a Bamako. Non ho ancora visto il giudice e voglio vedere i miei genitori. Mi preoccupo per loro perché staranno pensando cose terribili su di me".

Promesse non mantenute. La fine ufficiale del conflitto nel 2013, non ha posto termine alle violenze. Nonostante le elezioni, il nuovo governo non è ancora riuscito a riprendere il controllo di alcune zone a nord paese dove c'è Kidal, una delle città più importanti dello stato. Con la fine del conflitto, il primo luglio 2013 il Mali ha firmato un protocollo d'intesa con l'Onu con le linee guida per il trattamento dei minori assoldati dagli eserciti per combattere tra cui il rilascio o il trasferimento di unità di protezione dell'infanzia e il reinserimento dei bambini nella società. Ma la realtà è molto diversa. Le autorità continuano a trattare minori e adulti in ugual modo violando così il diritto internazionale e soprattutto l'infanzia di bambini che a causa della guerra hanno perso da tempo l'innocenza.