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domenica 3 novembre 2013

Napoli: lo Stato non paga la Comunità terapeutica e i tossici sfrattati tornano in carcere

Il Tempo 
Mancano i soldi per l'affitto? La comunità terapeutica per il recupero dei tossicodipendenti, convenzionata con lo Stato (nella fattispecie la comunità Arcobaleno di Castel Volturno) un bel giorno viene sfrattata dal proprietario che non vedeva la pigione da mesi e tutti i tossicodipendenti in loco che stavano agli arresti domiciliari per curarsi, così come prevede l'unica norma che si salva all'interno della legge Fini-Giovanardi, vengono rispediti in galera con il timbro del Tribunale di sorveglianza di Napoli. 

Questa storia che ha dell'incredibile è stata raccontata giovedì scorso intorno alle otto di sera in una lunga intervista a Riccardo Arena, il meritevole conduttore di Radio carcere, rubrica bisettimanale che Arena tiene il martedì e il giovedì sera su Radio radicale, da uno degli ex "ospiti" della comunità in questione: il signor Eugenio, un giovane che stava scontando in comunità un residuo pena di oltre 4 anni e sei mesi per reati compiuti nel 2005 quando era tossicodipendente. Pena poi andata definitiva circa sette anni e mezzo dopo. Eugenio si trovava nella comunità sfrattata insieme ad altri 21 giovani, tutti nelle sue stesse condizioni di arresto domiciliare in comunità. Ciri stava lì da mesi come lui e chi da anni. Quasi tutti ormai rinati a una nuova vita dopo indicibili fatiche e sacrifici. Anche dei loro familiari.

Poi un bel giorno la burocrazia colpisce: lo Stato, le Regioni, non erogano più soldi per le comunità convenzionate per il recupero dei drogati. I proprietari dei terreni e dei fabbricati pazientano un anno, magari due.. Poi iniziano le procedure di sfratto esecutivo.

Totale? Secondo il drammatico racconto del ragazzo, che è stato mandato tre mesi a Poggioreale, dieci in una stanza (ed è stato il più fortunato perché poi almeno ha trovato un magistrato che si prendesse la responsabilità di rimandarlo a casa agli arresti in cura al Sert ndr), i 22 in cura si ritrovano sparpagliati per le carceri super affollate di mezza Italia. E lì ancora si trovano.

Lui, Eugenio, che era di famiglia ab -bastanza facoltosa, riesce a ottenere un provvedimento provvisorio del magistrato di Napoli che invece di rispedirlo subito in carcere lo affida per l'intanto a un Sert di Napoli con l'obbligo di controlli bisettimanali sulle urine e con una terapia psicanalitica. Il provvedimento però dopo due settimane non viene confermato dal tribunale di sorveglianza di Napoli, presieduto da Angelica Di Giovanni, magistrato già balzato agli onori della cronaca quando stava per mettere in carcere il giornalista Lino Jannuzzi anni orsono.

Poi dopo tre inutili mesi passati in una cella sovraffollata, in un carcere in cui circolava liberamente la droga come in quasi tutte le galere patrie, finalmente un altro tribunale di sorveglianza, stavolta a Santa Maria Capua Vetere, lo ha rimesso ai domiciliari consentendo a Eugenio di continuare a curarsi e a ricostruire la propria vita.

Questa vicenda che ha dell'inaudito, anche perché gli altri 21 ricoverati nella comunità Arcobaleno di Castel Volturno sono tuttora detenuti, non la avrebbe conosciuta nessuno se non esistesse Radio radicale e la rubrica Radio carcere. Che ha fatto di più per i detenuti e la giustizia sostanziale in Italia di quanto siano riusciti sinora a fare gli ultimi tre o quattro ministri guardasigilli.

di Dimitri Buffa

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