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giovedì 27 giugno 2013

Siria - Gli sfollati accusano il mondo ci ha dimenticati

Corriere della Sera
Ogni giorno che passa, in Siria, la morte e la distruzione proseguono il loro cammino. Si uccide e si tortura in nome di Assad, si uccide e si tortura in nome di Allah.

Il numero delle persone fuggite dal conflitto è salito a 6 milioni. Dei siriani che hanno trovato un precario riparo oltreconfine, il mondo almeno saltuariamente s’interessa.

La maggior parte delle persone costrette a lasciare città e villaggi si trova tuttora in Siria: quattro milioni e mezzo. La loro agonia, di uomini donne e bambini braccati, inseguiti e isolati dalla guerra, è ignorata.

Amnesty International ha visitato un campo profughi nei pressi di Atmeh, vicino al confine con la Turchia, trovandovi 21.000 persone in condizioni inumane:
“Abbiamo passato tutto l’inverno qui con niente, entrare in Turchia era impossibile. Niente cibo, niente coperte, non si riusciva a tenere le tende isolate dalla pioggia. I bambini si ammalavano continuamente”.
È un miracolo che Umm Husan, madre di cinque figli, sia ancora viva per raccontarlo.

L’amore per la Siria spiega in parte come abbia potuto resistere:
“Non voglio lasciare il mio paese e diventare una rifugiata. Avevamo un paese meraviglioso e tanta terra che ci consentiva di vivere bene. Anche quando i bombardamenti sono aumentati e i nostri vicini sono fuggiti, siamo rimasti per un po’. Dopo, è stato impossibile. Fossi stata sola, avrei preferito rimanere e morire nella mia casa. Ma dovevo pensare a salvare i miei figli”.
Mentre il numero delle vittime del conflitto armato siriano sta per arrivare a 100.000 e non c’è alcun segnale della fine dei combattimenti, per molti sfollati tornare a casa è un sogno irrealizzabile.

Qualcuno ci ha provato. Come Abu Khaled, padre di nove figli, incontrato sempre nel campo di Atmeh:
“I bambini sono traumatizzati dall’orrore che hanno visto tornando a casa… ogni giorno bombardamenti, sempre bombardamenti, i corpi dei vicini fatti a pezzi, i villaggi distrutti. Avrebbero bisogno di cure specialistiche, ma qua non c’è nulla del genere. Manca tutto e di queste condizioni miserabili sono loro a soffrire maggiormente. Io sono loro padre, sono quello che dovrebbe proteggerli e occuparsi di loro ma non riesco a fare né l’una né l’altra cosa. Quello che posso fare è coccolarli, abbracciarli quando mi chiedono qualcosa. A volte mi sento così frustrato che mi allontano da loro pur di non vederli così tristi. Prego Dio che qualcuno ci aiuti”.
Il 7 giugno, le agenzie delle Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie internazionali hanno lanciato il più grande appello umanitario per fornire aiuti di emergenza agli sfollati siriani. Qualcosa si muove, ma non si sa quando tutti i fondi sollecitati saranno messi a disposizione dalla comunità internazionale.
Riccardo Noury

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