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domenica 24 marzo 2013

Rifugiati siriani a Za'atari in Giordania tra violenze e i bambini che lavorano

La Repubblica

Un'analisi tra i rifugiati siriani fa luce sulla portata del fenomeno degli abusi sui minori. Pubblicata dalle Nazioni Unite in collaborazione con un Un ponte per... grazie all'esperienza in Giordania, Iraq e Libano nell'assistenza alle donne sole con bambini. Le ricerche mostrano come a Za'atari il problema del lavoro minorile e dell'infanzia negata sia diventata un'emergenza.



Roma - Un'analisi della condizione dei rifugiati siriani, che fa luce sulla portata del fenomeno degli abusi sui minori: di questo parla lo studio appena pubblicato dalle Nazioni Unite in collaborazione con un Un ponte per... grazie all'esperienza acquisita in Giordania, Iraq e Libano nell'assistenza alle donne sole con bambini. Si tratta della prima parte di lavoro molto più ampio dedicato alla situazione dei profughi siriani in Giordania, e che si occuperà anche di quanto sta accadendo nei centri urbani del paese.

E' ormai un'emergenza. Le ricerche effettuate dimostrano come a Za'atari il problema del lavoro minorile e dell'infanzia negata sia diventata un'emergenza, vista anche la miseria in cui vivono gran parte delle famiglie rinchiuse nel campo. Nel rapporto si parla di 342 minori non accompagnati e 307 'separatì dai loro familiari, completamente abbandonati a sé stessi, che si dividono tra la vendita di sigarette e tè e l'accattonaggio. Nel rapporto si menziona anche il caso di alcuni ragazzi impiegati nella pulizia dei servizi igienici del campo. Critica anche la situazione dei giovani di 15-18 anni giunti in Giordania dopo essere stati 'usatì dalle milizie siriane, così come ci sarebbero casi di bambini rientrati in patria per unirsi alla guerriglia.

Le ragazze sono le prime vittime. Lo studio evidenzia anche un aumento della violenza - praticata soprattutto in tenda e nei locali dei servizi igienici - e dei matrimoni forzati, con le donne - e in particolare le ragazze tra i 12-18 anni - che si confermano le prime vittime di questa situazione, anche a causa della difficoltà di proteggerle, insieme ai disabili che non possono contare su servizi adatti ai loro bisogni. Tra le raccomandazioni finali indirizzate a coloro che lavorano nel campo, un maggiore controllo per evitare casi di violenza e sfruttamento, con particolare attenzione a donne sole con bambini, le cui tende dovrebbero essere poste "vicino ai centri nevralgici del campo", in modo da assicurare loro una maggiore visibilità e protezione.

Un quadro sconfortante. Nonostante il quadro sconfortante, c'è il concreto rischio che vengano aperti altri campi, soprattutto se si considera che i rifugiati sono già diventati il 10% della popolazione giordana, e secondo le previsioni delle Nazioni Unite potrebbero diventare molti di più nei prossimi mesi. A quel punto, diventerà estremamente problematico riuscire a gestire l'emergenza e sarà necessario che la comunità internazionale si concentri molto di più sulla protezione dei rifugiati che sulla guerra in corso. In Giordania i profughi hanno ormai quasi superato il mezzo milione di individui e il Regno Hashemita è davvero giunto ai limiti della sua capacità di accoglienza, come dimostrano le numerose proteste di queste settimane contro la presenza dei siriani.

100 mila persone in un carcere a cielo aperto. Le organizzazioni internazionali lamentano anche la forte mancanza di fondi, a fronte del deteriorarsi dell'emergenza. La maggioranza dei rifugiati continua a vivere nelle città, con inevitabili conseguenze sul funzionamento dei servizi sociali e delle scuole pubbliche, mentre i problemi di sopravvivenza quotidiana si moltiplicano ogni giorno. Purtroppo gran parte delle risorse finanziarie sono state sinora dedicate al campo profughi di Za'atari, nel nord del paese, da cui i siriani non hanno possibilità di uscire se non attraverso sponsor che garantiscono per loro. Con più di 100.000 persone, il campo è ormai diventato un enorme carcere a cielo aperto. Di qui la scelta di Un ponte per... di lavorare con i profughi che hanno scelto di vivere liberamente nelle città.

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