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martedì 31 dicembre 2013

Birmania: basta detenuti politici, Presidente annuncia nuova amnistia

Ansa
La Birmania ha assicurato che non avrà "più prigionieri politici", con l'annuncio di una nuova amnistia destinata a mantenere la promessa del presidente Thein Sein di rilasciarli tutti entra la fine dell'anno. 

Grazie a due ordini d'amnistia "non ci saranno più prigionieri politici", ha dichiarato sulla sua pagina Facebook il portavoce del presidente Ye Htut, senza precisare quanti detenuti sono coinvolti e quando verranno liberati.

Sud Sudan, migliaia di bambini vagano da soli dopo aver perso i genitori e la loro casa

La Repubblica
Gli interventi di Save the Children per rendere accessibile l'area colpita dal conflitto e per portare aiuto a migliaia di ragazzini piccoli e adolescenti in situazione di grande bisogno e senza più niente e nessuno


UBA (Sud Sudan) - Migliaia di bambini, a causa delle recenti violenze esplose nel paese africano sono in questo momento soli, separati dai propri genitori e in zone remote e difficilmente raggiungibili. Save the Children segnala anche che molti di essi hanno assistito all'uccisione dei genitori e al saccheggio o distruzione delle proprie abitazioni. Oltre 121.000 persone hanno dovuto abbandonare le proprie case quando il conflitto è esploso 2 settimane fa a Juba (la capitale). Caos e violenze hanno causato lo smembramento di molti nuclei familiari: il 27 dicembre, in uno dei compound delle Nazioni Unite in cui si sono rifugiate molte persone sfollate, Save the Children ha identificato più di 20 bambini soli, senza genitori o adulti di riferimento. Si suppone che il fenomeno sia molto più vasto, per esempio in aree come quella di Jonglei dove i combattimenti sono stati più intensi.

La priorità: riunirli con le famiglie. Molti degli sfollati hanno trovato protezione nelle strutture Onu o presso familiari, in zone più sicure, ma una parte - tra cui molti bambini - si sono rifugiati nella boscaglia, in luoghi nascosti e non facilmente raggiungibili, dove non ci sono ripari, si è costretti a bere acqua stagnante e non si ha accesso ad alcuna forma di aiuto umanitario. 


[...] Continua

Sud Sudan, Onu: oltre 180mila sfollati Migliaia di vittime negli scontri tribali

TGCOM24
Circa 75mila profughi nei campi gestiti dalle Nazioni Unite
Gli scontri delle ultime due settimane in Sud Sudan tra i ribelli e le forze governative hanno provocato oltre 180mila sfollati. 

E' quanto risulta da un dossier delle Nazioni Unite. Tra i profughi, quasi 75mila hanno trovato rifugio nei campi gestiti dall'Onu, secondo quanto reso noto dall'Ocha, l'agenzia del Palazzo di Vetro per gli aiuti di emergenza. Sarebbero migliaia, invece, le vittime delle violenze.

La situazione resta molto caotica nel Paese, mentre le forze armate governative hanno reso noto di essersi nuovamente scontrate oggi con l'"esercito bianco" dei ribelli che si oppongono a Juba a una trentina di chilometri da Bor, capitale regionale dello Stato di Jonglei. Altre fonti governative hanno invece affermato che i miliziani avrebbero fermato la loro avanzata.

"Secondo le nostre fonti - ha detto il portavoce del governo Michale Makuei - i capi locali Lu e Dau Nuer hanno convinto i giovani a tornare a casa loro e la situazione adesso è calma".

lunedì 30 dicembre 2013

Siria: Amnesty denuncia torture e uccisioni nei centri di detenzione dell'Isis

www.laperfettaletizia.com
In un documento pubblicato il 19 dicembre 2013, Amnesty International denuncia la diffusione della tortura, delle frustate e delle uccisioni sommarie nelle prigioni segrete dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isis), un gruppo armato che controlla ampie zone della Siria settentrionale. 

L'Isis, che afferma di applicare rigidamente la shari'a (legge islamica) nelle zone che controlla, sopprime violentemente i diritti della popolazione locale. Nel suo documento di 18 pagine, intitolato "Stato di paura: abusi commessi dall'Isis nei centri di detenzione della Siria settentrionale", Amnesty International descrive sette centri di detenzione diretti dall'Isis nel governatorato di al-Raqqa e ad Aleppo. "Tra le persone sequestrate dall'Isis Ci sono anche bambini di otto anni, detenuti in condizioni crudeli e disumane insieme agli adulti" - ha dichiarato Philip Luther, direttore del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.

Dalle testimonianze di ex detenuti emerge un campionario scioccante di abusi: frustate con cavi elettrici e cinghie dei generatori, scariche elettriche e la tortura dello "scorpione" in cui il detenuto viene immobilizzato in una posizione estremamente dolorosa, con entrambi i polsi legati dietro una spalla. Le persone detenute dall'Isis sono accusate di furto o altri reati comuni, di "crimini" contro l'Islam come fumare sigarette o avere rapporti sessuali al di fuori del matrimonio. Altre sono state sequestrate per aver messo in discussione il comando dell'Isis o perché appartenevano a gruppi armati rivali nell'ambito dell'opposizione al governo siriano. L'Isis è sospettato anche di aver sequestrato e imprigionato cittadini stranieri, giornalisti inclusi.

Secondo le testimonianze ottenute da Amnesty International, neanche ai bambini vengono risparmiate le frustate. Un padre ha raccontato il tormento di aver dovuto ascoltare le urla di suo figlio, torturato nella stanza accanto. Due detenuti hanno visto un ragazzo di 14 anni subire oltre 90 frustate durante un interrogatorio nella prigione di Sadd al-Ba'ath, nel governatorato di al-Raqqa. Un altro 14enne, accusato del furto di una motocicletta, è stato frustato ripetutamente per diversi giorni. "Frustare una persona, per non parlare di un bambino, è un atto crudele e disumano e una grave violazione dei diritti umani" - ha commentato Luther. "L'Isis deve cessare immediatamente di ricorrere alle frustate e ad altre pene crudeli e i suoi leader devono istruire le forze ai loro comandi al rispetto del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario".

Parecchi ex detenuti hanno riferito ad Amnesty International di essere stati sequestrati da uomini a volto coperto, che li hanno portati in località sconosciute, dove sono rimasti anche per 55 giorni. Alcuni di loro non hanno mai capito dove sono stati trattenuti, ma Amnesty International ha identificato prigioni dell'Isis in sette località: Mabna al-Mohafaza, Idarat al-Markabat e al-Mer'ab nella città di al-Raqqa; Sadd al Ba'ath e al-'Akershi nel governatorato di al-Raqqa; Mashfa al-Atfal e Maqar Ahmed Qaddour ad Aleppo. La prigione di Sadd al-Baa'th è alle spalle di una diga sul fiume Eufrate, nei pressi di al-Mansura. Qui, il giudice del tribunale locale della shari'a, che si presenta invariabilmente con una cintura imbottita di esplosivo, ha istituito il regno del terrore sui detenuti. Ex detenuti lo accusano di presiedere "processi" grottescamente iniqui, della durata di pochi minuti e alla presenza di altri prigionieri, che culminano con condanne a morte eseguite di lì a poco o con sessioni impietose di frustate; in almeno un caso, egli ha direttamente preso parte.

Nell'impianto petrolifero di al-Akershi, che l'Isis ha utilizzato anche come centro d'addestramento militare, viene praticata la tortura dello scorpione. Un ex detenuto ha trascorso 40 giorno in isolamento, parte dei quali incatenato in una piccola stanza piena di apparecchi elettrici e col pavimento bagnato di benzina. "Dopo anni in cui ha subito la brutalità del regime di Assad, la popolazione di al-Raqqa e di Aleppo ora è alla mercé di una nuova tirannia imposta dall'Isis, in cui le detenzioni arbitrarie, la tortura e le esecuzioni sono all'ordine del giorno" - ha sottolineato Luther.

Amnesty International chiede alla comunità internazionale di adottare misure concrete per fermare il flusso di armi e di altro sostegno all'Isis e ad altri gruppi armati coinvolti in crimini di guerra e in altri gravi abusi dei diritti umani. "Il governo turco, in particolare, dovrebbe impedire che il suo territorio venga usato dall'Isis per trasferire armi e reclute in Siria. Gli stati del Golfo che hanno espresso supporto per i gruppi armati che si oppongono al governo siriano, dovrebbero a loro volta impedire il flusso di armi, equipaggiamento e altro materiale all'Isis, a causa del suo agghiacciante operato in materia di diritti umani" - ha concluso Luther.

Amnesty International rinnova la sua richiesta al governo siriano affinché ponga fine alla sua parte di violazioni dei diritti umani (tra cui il ricorso alla tortura nei centri di detenzione) e consenta libero accesso sul territorio alla Commissione internazionale indipendente d'inchiesta, alle organizzazioni umanitarie e alle organizzazioni per i diritti umani.

Mauritania: detenuti islamici in sciopero della fame, molti in carcere dopo il termine della pena

Nova
Un gruppo di detenuti politici mauritani è entrato ieri in sciopero della fame avviando una serie di proteste all'interno del carcere centrale di Nouakchott. Secondo quanto riporta l'agenzia di stampa mauritana "Ani", i detenuti protestano a causa della presenza in carcere di numerosi prigionieri islamici i quali hanno scontato la loro pena e nonostante questo non vengono scarcerati. 


 In particolare la protesta riguarda il caso di 29 detenuti la cui permanenza in carcere bel oltre i termini della condanna è dovuto al fatto che non hanno come pagare la multa inflitta dal tribunale contestualmente ai danni da scontare in carcere. 

I detenuti in sciopero della fame hanno lanciato un appello alle autorità affinché facciano ciò che è necessario per risolvere questo problema. Nella lettera indirizzata al governo mauritano si chiede in particolare la liberazione per un detenuto senegalese il quale ha finito già diversi anni fa di scontare la sua pena.

domenica 29 dicembre 2013

Israele: lunedì prossimo verranno liberati altri venti detenuti palestinesi

Agi
Lunedì prossimo, un giorno dopo il previsto, Israele rilascerà circa venti detenuti palestinesi; così ha dichiarato agli Usa. 

Con questo si contano tre scaglioni di detenuti contentando quelli di agosto e ottobre secondo le dichiarazioni del portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki. Fino ad oggi sono state scarcerate 52 persone su un totale di 104. 

Sicuramente la concessione di Israele all'Anp (Autorità Nazionale Palestinese) è da considerare come un gesto di buona volontà per il piano di pace mediato da Washington.

di Andrea Radaelli

Stati Uniti: la storia di Joaquìn, ex "dead man walking"

Famiglia Cristiana
Accusato ingiustamente di aver ucciso una giovane coppia, Joaquìn Josè Martinez è stato cinque anni in carcere, tre nel braccio della morte. Ecco la sua storia. Quello che ha visto e vissuto lo ha trasformato da convinto assertore della pena capitale in testimone del fatto che nessuno la merita. "Di fronte a un crimine efferato e alla condanna a morte, dicevo: "Perché aspettare? Sparategli subito!". Quando poi vedevo i manifestanti con i cartelli contro la pena di morte il giorno dell'esecuzione, pensavo: "Perché sprecare tempo". Se mi avessero ascoltato, oggi non sarei qui". Così Joaquín José Martinez racconta come da acceso sostenitore della pena capitale è diventato un testimone che gira le città europee per difendere il diritto alla vita. È un ex dead man walking, un ex "uomo morto che cammina", dopo che per tre anni è stato ingiustamente recluso nel braccio della morte.
Ha raccontato di recente la sua esperienza in Italia, agli studenti dell'Università Cattolica di Milano, dove è stato invitato dalla Comunità di Sant'Egidio. Nato in Ecuador, cittadino spagnolo, con una buona famiglia e un'infanzia felice alle spalle, a 24 anni era un esempio riuscito dell'American dream, il sogno americano. Viveva a Tampa in Florida, dove aveva due figlie e una separazione in corso. Proprio per alcune accuse infondate della ex moglie, viene arrestato, sotto gli occhi delle figlie, per l'assassinio di una giovane coppia. Il ragazzo ucciso è un trafficante di droga, nonché il figlio di un ufficiale di polizia. Serve subito un colpevole: Joaquín, che nel giorno dell'omicidio si trovava a Disneyland con la nuova fidanzata, viene incredibilmente condannato alla pena capitale.

"Era il 1997", racconta, "e a quell'epoca l'esecuzione era solo con la sedia elettrica. Si stava iniziando a discutere se fosse il metodo "migliore" dopo che in alcuni casi un voltaggio eccessivo delle scariche elettriche aveva fatto soffrire molto i condannati. Nel braccio della morte, i poliziotti, mentre facevano alcuni test, passavano davanti alle celle e ridendo dicevano: "La prossima volta tocca a voi"".

Joaquín inizia a conoscere i suoi compagni di detenzione, alcuni probabilmente innocenti come lui, altri colpevoli di crimini efferati. Ma tutti umani. "Fino a quel momento, non avevo più fiducia nel sistema che mi aveva incarcerato ingiustamente, ma pensavo ancora che la pena di morte fosse "giusta". L'incontro con loro mi ha cambiato, ho riscoperto la loro umanità e come lo Stato abbia il dovere di essere migliore, proprio per dire che è sbagliato, sempre, uccidere. Oggi, purtroppo, tutte le persone detenute con me sono state uccise".

In particolare, Joaquín si commuove ricordando Frankie, 20 anni nel braccio della morte prima di morire per un cancro non adeguatamente curato: "Era solo, senza amici, senza parenti, senza lettere da fuori. Gli mostravo le cartoline che ricevevo da mezzo mondo e gli descrivevo le città europee. Era stato condannato per lo stupro di una ragazzina di dieci anni, chiedeva di fare il test del dna per dimostrare la sua innocenza, ma la risposta era sempre: "Perché spendere soldi per un assassino?". Frankie era un malato psichico, viveva con le catene ai polsi e ai piedi: "Quando urlava per le crisi, le guardie lo picchiavano. Sentivamo vibrare le pareti per i colpi, poi finiva in infermeria. Poi non lo abbiamo più visto, pensavamo fosse stato ucciso, finché l'ho rivisto in infermeria, scheletrico, non mi riconosceva, malcurato e agonizzante per un cancro".

Una volta morto, gli avvocati ottennero di fare il test del dna: risultò innocente. "La malattia psichica", spiega Joaquín, "è molto comune nei bracci della morte. Al terzo anno, anch'io stavo iniziando a parlare da solo. Vivi in attesa che nel cuore della notte vengano a misurati il cranio o a darti il rasoio per raderti la caviglia, dove metteranno il laccio della sedia elettrica".

"Ma io", aggiunge, "sono stato un privilegiato; nei tre anni nel braccio ho avuto il sostegno di molti, dal Re di Spagna al Papa, dal Parlamento Ue a tante associazioni, come Sant'Egidio, e cittadini comuni. La mia famiglia, un'eccezione rispetto a quelle di molti detenuti, ha potuto pagare un buon avvocato e dei consulenti scientifici che hanno ottenuto la revisione del processo. I soldi purtroppo contano molto".

Stesso giudice, stessa aula: dopo cinque anni di detenzione e tre nel braccio della morte, Joaquín viene riconosciuto innocente. Liberato, torna in Spagna. "In carcere non esisteva uno specchio, ho scoperto allora come ero cambiato, avevo i capelli brizzolati. Il console spagnolo, venuto per accogliermi, mi ha chiesto cosa volevo mangiare. Sono scoppiato in lacrime. In carcere non avevo mai potuto scegliere nulla".

Infine, "l'ex condannato a morte" racconta il suo giorno più difficile da quando è stato liberato: "Alcuni anni dopo, mio padre stava andando a vedere la partita Real Madrid-Valencia e venne ucciso in un incidente stradale da un diciassettenne. Ero arrabbiato, nel corridoio dell'ospedale dissi: "Vado e lo uccido". Mia madre mi scosse e mi rispose: "Non hai imparato niente!". Ecco, scegliere di perdonare quel ragazzo è stata la cosa più difficile degli ultimi anni, ma l'ho fatto e questo ci rende migliori".

di Stefano Pasta


Immigrazione: Cie Bari; perizia choc, per il tribunale condizioni di invivibilità

La Repubblica
Nel Cie di Bari si vive in condizioni non accettabili: niente tende, niente aerazione, bagni praticamente impresentabili, nessuna attenzione alle attività sociali e didattiche degli occupanti che, non a caso, utilizzano in massa psicofarmaci. 

A sostenerlo è il perito nominato dal tribunale di Bari che nelle scorse settimana ha depositato una perizia al giudice sulle condizioni del Centro di identificazione di Bari: venti pagine nelle quali spiega che "i lavori effettuati alla struttura non sono sufficienti per un significativo miglioramento delle condizioni di vita degli occupanti". 

Si tratta della seconda relazione depositata dall'ingegner Francesco Saverio Campanale in un procedimento nato dalla class action proposta dagli avvocati Luigi Paccione e Alessio Carlucci. I legali avevano denunciato quella che definiscono "una struttura carceraria che costringe "gli ospiti" a un regime di detenzione". Il presidente del tribunale, Vito Savino, aveva nominato un suo perito chiedendogli di verificare le condizioni all'interno del centro. L'ingegner Campanale aveva individuato una serie di mancanze e il giudice aveva ordinato ai gestori del centro una serie di opere per metterlo a norma. Nelle scorse settimane c'è stato un nuovo sopralluogo: il tecnico ha depositato così la nuova relazione e il giudice si è riservato di decidere sul da farsi. "Noi - spiega l'avvocato Paccione - visto quello che ha scritto il suo perito speriamo proprio che ordini di chiudere un centro che viola i diritti umani".

L'ingegner Campanale aveva disposto più di un anno fa la realizzazione di alcuni interventi di messa a norma. Che però, spiega oggi, "sono stati eseguiti soltanto in parte: l'attuale situazione presenta ancora numerosi elementi di criticità". Per esempio sono "ancora troppo pochi e i box doccia e i vasi alla turca" che vengono utilizzati come servizi igienici. Oppure "non esiste un sistema di oscuramento, anche parziale delle finestre delle stanze alloggio". Non ci sono tende, quindi, ed è difficile riposare. "Le dimensioni della sala mensa sono rimaste inalterate, pertanto inferiori a quelle indicate nelle linee guida, così come non risulta incrementato il numero delle aule per le attività occupazionali, didattiche e ricreative. Per quanto riguarda il suggerimento - si legge ancora - di incrementare le strutture e attrezzature sportive, queste sono rimaste invariate, in attesa della realizzazione di un secondo campo polifunzionale. In conclusione - continua nella relazione - gli interventi effettuati al Cie hanno comportato soltanto un modesto miglioramento rispetto a quanto constatato nelle precedenti indagini, pertanto non sufficiente per un significativo miglioramento delle condizioni di vita degli occupanti".

La relazione dell'ingegner Campanale apre un precedente molto importante nella storia dei Centri di identificazione ed espulsione. Quella di Bari è la prima esperienza in questo senso, con una class action presentata dai cittadini per chiudere il centro per motivi umanitari. 

Ai legali si è poi unito anche il comune di Bari che ha mandato un suo tecnico a visitare la struttura che è arrivato alle stesse conclusioni, se non peggiori, di quelle del perito del giudice. "Le condizioni di vivibilità all'interno del centro - ha scritto l'ingegner De Corato - sono critiche anche in relazione alla lunga permanenza degli immigrati fino a 18 mesi. La mancanza di idonee e sufficienti attività determina forti tensioni che spesso si traducono in rivolta. La mancanza di una biblioteca, di un computer e di un apparecchio Tv che non sia obsoleto e, pertanto, la struttura non garantisce condizioni di vivibilità che sono invece garantite ai detenuti nelle carceri".

Stati Uniti: Obama firma bilancio Difesa 2014, si va verso chiusura Guantánamo

Asca
Il presidente americano Barack Obama ha firmato ieri la legge sulle spese per la difesa Usa per il 2014, facendo così il primo passo verso la chiusura definitiva di Guantánamo.
Obama ha siglato il National Defense Authorization Act dalle Hawaii, dove stava trascorrendo le festività natalizie con la sua famiglia. "Sono incoraggiato - ha detto - dal fatto che questo atto fornisce una maggiore flessibilità all'esecutivo per trasferire i detenuti di Guantánamo all'estero, e siamo ansiosi di lavorare con il Congresso per prendere le misure supplementari necessarie alla chiusura della struttura". 

"Il continuo funzionamento della struttura - ha aggiunto il leader della Casa Bianca - indebolisce la nostra sicurezza nazionale, drenando risorse e danneggiando i nostri rapporti con gli alleati

In particolare, il disegno di legge assicura per il nuovo anno 552,1 miliardi dollari in spese militari, di cui 80,7 miliardi per le operazioni di emergenza all'estero, vale a dire la guerra in Afghanistan. Fissa inoltre l'aumento dell'1 per cento per il personale militare e cancella i 63 miliardi dollari di tagli arbitrari che sarebbero dovuti entrare in vigore dal 1 gennaio.

UN: One in five Lebanon residents Syria refugees

Press TV
As Lebanon is grappling with an influx of Syrian refugees, the latest UN figures highlightes the extent of the crisis. The United Nations High Commissioner for Refugees has said one out of five people living in Lebanon are refugees who have fled the conflict in neighboring Syria. Some 30 percent of the Refugees live in substandard shelters. 


Lebanon’s government has refused to set up official camps for the refugees fearing a crisis similar to that of the Palestinian refugees 52 thousand of whom were living in Syria. Many of Syrian refugees are unregistered and undocumented migrants and live in hundreds of unofficial tent settlements on northern and eastern peripheries. 

The figures provided by the UNHCR do not include hundreds of thousands of refugees who are not registered. But estimates show that there could be over one million Syrian refugees in Lebanon living in tents like these. Some, 280,000 are children of school age, and over 70% very much dependent on any humanitarian aid they can get. 

The greatest suffering in the camps is seen in the eyes of the children. This boy was eager to go on television hoping that our presence would attract humanitarian aid. The women complain about how they’re not getting enough help for their children: This man was a school teacher in Syria’s Hama. Now he’s trying to help create an educational center for children of school age, many of whom have not received any education for two years: Lebanon currently hosts the highest number of refugees from Syria. More than a million other Syrians have fled to Jordan and Turkey. 

The United Nations has warned that the number of Syrian refugees will almost double over the next year to top four million.

Cie Ponte Galeria: "È peggio del carcere". Vi racconto la mia visita

L'HUFFINGTON POST
"Qui è peggio del carcere. Scrivilo questo. Scrivilo". Ventenne, magrebino, magro di corporatura. Le sue parole sono concitate. Gli occhi rabbiosi. Non è il solo ad avvicinarsi. In molti manifestano il desiderio di relazionarsi con l'esterno per denunciare la realtà che vivono.
"È una vergogna, siamo rinchiusi in un lager e trattati come bestie", dice un altro mostrandoci una stanza diroccata. I muri anneriti lasciano ancora tracce della protesta di febbraio scorso, quando scoppiò una vera e propria rivolta: molte camerate, come gesto di protesta, furono incendiate. Alla fine le forze dell'ordine intervennero per sedare il tumulto e arrestarono 15 persone.

Benvenuti nel Centro d'Identificazione ed Espulsione (Cie) di Ponte Galeria di Roma. Chi scrive l'ha ispezionato recentemente spacciandosi per assistente di una parlamentare. Per i giornalisti è infatti difficile ottenere il permesso per una visita. Come per le carceri: meglio non raccontare e far sapere pubblicamente la disumanità di tali luoghi.

Siamo a Parco Leonardo, all'estrema periferia della Capitale. Intorno il deserto. Vicino ad una caserma dei carabinieri sorge il Cie, uno dei 13 centri presenti sul territorio italiano. Può ospitare fino a 180 persone, è diviso in due bracci: femminile e maschile. La detenzione per i migranti può arrivare ad un massimo di 180 giorni, la media è 4-5 mesi. Al momento nel Cie sono rinchiusi 69 uomini e 36 donne.
L'ispezione inizia proprio dal braccio femminile. A guidare la visita una rappresentante della prefettura e alcuni operatori della Auxilium, la cooperativa che ha vinto l'appalto per la gestione del centro. Si supera una porta, poi un cancello. Poi ancora una seconda porta. Evadere è molto difficile: 13 militari e 15 uomini della questura si preoccupano di vigilanza e controllo. 

Ogni braccio è diviso in moduli ed ogni modulo composto da due stanze comunicanti e un bagno. La composizione delle camere è in base al criterio etnico, per evitare violenze e scontri tra loro.
Le condizioni igieniche sono precarie pur non esistendo - come per le carceri - il problema del sovraffollamento. Alle 22 di sera si spengono le luci nella struttura: si impone di andare a dormire. Oltre alle stanze, ogni modulo, ha uno spazio esterno perimetrato da un alto cancello con spuntoni e filo spinato. Di fatto, una gabbia a cielo aperto. Le donne - quasi tutte provenienti dall'Africa Nera - passano il tempo davanti la televisione e a letto. Con loro non possono avere né forbicine né altri materiali pericolosi o contundenti. "Per paura che compiano gesti di autolesionismo" spiega un mediatore culturale, sette in totale nella struttura. Presente anche una psicologa.
Nel braccio femminile si può usufruire di visite specialistiche - sotto richiesta - ed esistono attività gestite da differenti associazioni e cooperative esterne. La Bee Free si occupa di intraprendere un percorso di genere con le recluse, il Centro Astalli lavora sulle richiedenti asilo, la comunità di Sant'Egidio e la Usmi, suore, danno conforto spirituale. "Possiamo chiudere qui la visita, se volete. Il braccio maschile è come quello femminile", ci viene detto. Rifiutiamo e continuiamo la nostra ispezione. E se la sezione donne aveva lasciato qualche perplessità, quella maschile lascia esterrefatti. Un carcere. Sporcizia ovunque. Stanze e bagni distrutti. Materassi a terra. Lenzuola di carta. Appena intravedono il bloc notes e la penna, si avvicinano. Gridano il loro malcontento. Chiedono di uscire.
Quasi l'80 per cento proviene dalle carceri dove ha già scontato la pena per il reato commesso.
"Dopo la galera - sbraita un altro magrebino (la netta maggioranza) in perfetto italiano -ero convinto di godermi la libertà e invece sono finito nuovamente in cella. Sono tre mesi che sono qui e non so niente del mio futuro". Abbandonati a se stessi.
Nell'aria si respira un clima di immensa insofferenza. Intere giornate di reclusione senza nessuna attività di carattere culturale o socio-lavorativa. La loro rabbia si manifesta con gesti autolesionistici (come il caso attuale delle 8 bocche cucite) e sugli oggetti. "Fatichiamo a gestirli e a coinvolgerli in qualsiasi impegno" spiega una responsabile della cooperativa Auxilium, costretta ad ammettere la differenza tra i due bracci: "Le donne sono coinvolte in progetti, con gli uomini non ci riusciamo. Anche l'ora di sport diventa un momento per risse e tensioni". Per sedare gli animi, e non solo, c'è una grande diffusione di psicofarmaci all'interno della struttura. Qualcuno è tossicodipendente.
Altri si avvicinano dicendo di essere richiedenti asilo. Vogliono sapere, ignari di tutto, a che punto sia la propria pratica. Vicino ai moduli una piccola cappella e una moschea per pregare. Molto affollata.
"Non ci rimane che pregare in Dio e sperare" sussurra un latinamericano sull'uscio della chiesetta. Intanto un nigeriano ci invita a far vedere la perdita d'acqua e l'enorme macchia di muffa che rende l'aria irrespirabile nella sua stanza.
"Fate qualcosa per noi" le ultime parole ascoltate prima che la porta si chiuda dietro di noi. Sboom. Ispezione terminata. Alla fine si discute di introdurre l'identificazione direttamente in carcere ma forse il problema è più complesso e riguarda la natura stessa dei centri. "È l'Inferno, vogliamo la libertà", ci dicevano. Benvenuti nel Cie di Ponte Galeria.

venerdì 27 dicembre 2013

Albania: amnistia di fine anno, prevista la scarcerazione di oltre 500 detenuti

www.osservatorioitaliano.org
Circa 550 detenuti e svariati condannati in affidamento in prova ai servizi sociali, stando alle previsioni, beneficeranno dell'amnistia in base al progetto di legge consegnato al Consiglio dei Ministri dal Ministero della Giustizia. 


Potrà contare sull'amnistia ogni condannato a due anni di carcere e quanti stanno scontando una misura alternativa.

Argentina: l'inferno delle carceri, diritti umani violati costantemente

www.peacelink.it
Il rapporto della Comisión Provincial por la Memoria (Cpm) sulla situazione delle carceri argentine nel 2013 è impietoso e, allo stesso tempo, preoccupante. Il lavoro della Cpm segnala che le prigioni del paese si caratterizzano sempre più per essere un deposito di poveri cristi dove proliferano torture, maltrattamenti e, più in generale, condizioni di vita insostenibili.


Inoltre, l'impunità è di casa, con i poliziotti dal grilletto facile responsabili di vere e proprie esecuzioni all'interno delle carceri. Il lavoro della Cpm, che prende in considerazione il biennio 2012-2013, ha ricevuto un plauso anche dal Premio Nobel per la pace argentino Adolfo Pérez Esquivel, che ha lodato l'indagine per aver denunciato le continue violazioni della libertà personale, il mancato rispetto dei diritti umani ed il costante peggioramento della situazione: nelle carceri del paese si rischia la vita. 

Nel solo 2012, esclusivamente nelle prigioni della Provincia di Buenos Aires, sono morte 123 persone, compresi 16 suicidi. Oltre il 30% delle morti hanno come responsabili gli agenti penitenziari e, sempre negli istituti di pena della sola provincia di Buenos Aires, su 1.430 donne detenute ci sono 130 bambini che vivono con loro all'interno delle celle. La lista di denunce relative al deteriorarsi delle condizioni di vita nelle prigioni argentine è lunga.

A molti detenuti è negata anche la classica ora d'aria, sono costretti a rimanere reclusi in celle d'isolamento a tempo indeterminato senza alcuna comunicazione, vengono impedite arbitrariamente le visite dei parenti ed i trasferimenti da un penitenziario all'altro sono utilizzati a scopo punitivo. In buona parte delle case di reclusione si fa strada la tolleranza zero e l'utilizzo della mano dura, che si traduce nella quotidiana violazione dei diritti umani fondamentali, come confermato dalla Coordinadora Anticarcelaria di Córdoba.

I racconti riportati dalla Coordinadora fanno rabbrividire, ad esempio quello sulla storia del giovane Iván, che ha trascorso la sua vita in varie prigioni del paese vedendosi negati i suoi diritti ineludibili, come quello di ricevere visite dei suoi familiari in più di una circostanza. Il giorno dopo aver visto la figlia di due mesi e la moglie, il ragazzo è stato addormentato dai funzionari del Servizio Penitenziario, che ne hanno disposto il trasferimento ad un altro penitenziario, dove però non è mai arrivato perché è deceduto in carcere. 

Altri racconti riferiscono di gravi carenze dal punto di vista medico. Nel Seccional 6 di Comodoro Rivadavia due carcerati sono morti intossicati dal fumo sprigionatosi nel padiglione dove si trovavano a causa di un incendio, un episodio simile è accaduto a Rosario, mentre nella Unidad 31 di Florencio Varela (Buenos Aires) la mancanza delle attrezzature mediche è costata la vita ad un'altra persona. 

Altro aspetto comune dei penitenziari argentini riguarda la folta presenza di giovani, in gran parte poveri, reclusi all'interno delle strutture carcerarie.
Alcune visite a sorpresa del personale Onu nelle carceri bonaerensi hanno tracciato un quadro ancora peggiore: il regime di isolamento dura almeno 23 ore al giorno, per periodi non inferiori a nove mesi, e spesso viene imposto ai prigionieri più indisciplinati. Anche la manutenzione degli edifici non è delle migliori e molti sono in condizioni fatiscenti (in media è presente un bagno ed una doccia per oltre sessanta detenuti), senza contare che in inverno manca il riscaldamento, il cibo è pessimo e le attività ricreative ed educative sono inesistenti, sia per la scarse motivazioni del personale sia per la poca attenzione dedicata all'acquisto del materiale didattico. In carcere restano assai diffusi anche i sistemi di tortura utilizzati dall'equivalente della nostra polizia penitenziaria, dalle botte sul corpo dei detenuti tramite bastoni o i calci delle armi da fuoco alle bruciature imposte con lo spegnimento delle sigarette sulla pelle dei carcerati fino al "submarino" già utilizzato ai tempi della dittatura militare.

Un articolo pubblicato sul sito dell'agenzia di notizie on line Rodolfo Walsh evidenzia che la situazione delle carceri argentine è peggiorata sensibilmente, per quanto possa sembrare paradossale, durante gli anni del kirchnerismo, con una morte ogni 37 ore e migliaia di casi di tortura: il numero dei reclusi è il più alto di tutti i governi che si sono succeduti dal ritorno del paese alla democrazia. Cristina Beute, magistrato di Neuquén, in occasione della presentazione del libro Cárceles de Mala Muerte, ha sottolineato come in Argentina esista un piano sistematico di repressione dello Stato e che non sia mai stata prestata particolare attenzione ai soggetti che finiscono in carcere. Secondo Beute, prima di condurre in cella un detenuto, andrebbero verificate almeno le sue condizioni di salute (e, nel caso in cui non siano delle migliori, farlo curare prima in ospedale), accertarsi che sia maggiorenne, tutelare le giovani e giovanissime in stato interessante e che invece vengono sbattute in carcere senza alcuna attenzione. Roberto Cipriano García, ex direttore del Comité contra la Tortura e attuale funzionario della Procuración contra la Violencia Institucional, sostiene che il compito dello Stato dovrebbe essere quello di istituire una serie di politiche istituzionali dedicate espressamente alle carceri, sulle quali finora si è lavorato in maniera esclusivamente repressiva, questo soprattutto a causa della guerra al narcotraffico che in tutto il continente ha finito con il favorire lo stato d'assedio e la militarizzazione dei territori come "eccezioni permanenti".

L'Argentina, che pure a fatto tanto nel campo dei diritti umani nel corso degli ultimi anni, è rimasta colpevolmente indietro per quanto riguarda le garanzie minime a cui dovrebbero aver diritto di accedere i suoi detenuti, a partire dai penitenziari militarizzati che stridono con un paese che, almeno a parole, cerca di indirizzarsi sulla strada del progressismo.

di David Lifodi

Buoncammino, Natale in carcere per due neonati

Sardegna Oggi
"Incredibile assurda disavventura per due neonati giunti nel carcere cagliaritano di Buoncammino proprio la sera di Natale". 
Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione 'Socialismo Diritti Riforme'.

CAGLIARI - "Incredibile assurda disavventura per due neonati, rispettivamente di 26 e 28 giorni di vita, giunti nel carcere cagliaritano di Buoncammino proprio la sera di Natale. I piccoli si trovano dietro le sbarre al seguito di due giovani donne rom di 24 e 31 anni processate per direttissima per furto e condannate a due anni e due mesi. Ancora una volta, nonostante le dichiarazioni dei Ministri della Giustizia susseguitisi nell'incarico, bimbi e neonati continuano a varcare le porte del carcere. Una vergogna che rende evidente l’inefficienza del sistema giudiziario". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione "Socialismo Diritti Riforme", esprimendo "vivo rammarico per la presenza di due creature in una struttura in cui le condizioni igienico-sanitarie non sono a misura di neonato".

"Da troppi anni - sottolinea Caligaris - si attende in Sardegna la disponibilità di un Istituto a custodia attenuata per garantire ai piccoli una condizione meno afflittiva e alle donne di scontare la pena vicino ai loro figli. L'auspicio è che al più presto i due neonati lascino Buoncammino ma occorre risolvere il problema una volta per tutte realizzando una struttura alternativa alla detenzione in carcere".

Marazziti: "L’amnistia e l’indulto renderebbero l’Italia più sicura" - Con indulto e pene alternative recidiva ridotta di 2/3

OnLine News
«L’amnistia e l’indulto renderebbero l’Italia più sicura. I dati dicono che chi ha ricevuto l’indulto è stato poi recidivo nel 33% dei casi, mentre chi ha scontato la pena per intero lo è stato nel 67% dei casi». 
Lo ha detto il deputato di Per l’Italia Mario Marazziti, presidente del Comitato diritti umani della Camera, parlando con i giornalisti prima del pranzo di Natale organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio nel carcere di Regina Coeli a Roma. Marazziti ha poi detto di voler proporre al segretario del Pd Matteo Renzi di visitare un carcere assieme. 

«È contrario all’amnistia, ma l’ha detto durante la campagna per le primarie», ha spiegato. «Il carcere in Italia è illegale – ha affermato Marazziti -. Ci sono 65 mila detenuti per 45 mila posti, l’Unione europea ci ha già condannati e abbiamo tempo fino a maggio per rimediare. 

Ci sono 20 mila persone in attesa di giudizio. Il 33% dei detenuti è per reati di droga, in Francia e Germania sono il 14%. Ma in Italia non si commettono un maggior numero di reati simili, semplicemente è l’effetto di due leggi, la ex Cirielli che impedisce ai recidivi di usufruire di benefici e la Giovanardi-Fini sugli stupefacenti. Bisogna cancellarle». «Amnistia e indulto sono necessari – ha poi detto Marazziti tra gli applausi dei detenuti -. Aiuteranno l’Italia a essere migliore e a fare del carcere un luogo dove si capisce che si è sbagliato per poi tornare nella società».

Iran: Two executions on Christmas day

Death Penalty News
Iran Human Rights,25: Two prisoners were hanged in the prison of Mashhad (north-eastern Iran) today, reported the Iranian state media.
Quoting the head of the prison organization in Khorasan Province, the news site Asr-e-Iran reported that two prisoners convicted of murder were hanged in the prison of Mashhad today, December 25.

One of the prisoners was a 30 year old drug-addict who was convicted of murdering his wife in 2009, while the other prisoner was a young man who had murdered the husband of a woman he had an affair with.

giovedì 26 dicembre 2013

Bangladesh: 2013 segnato da conflitti sociali e da violazioni dei diritti umani

Radio Vaticana
In Bangladesh “il 2013 è stato un anno denso di conflitti e di abusi sui diritti umani”. “E’ stato un anno problematico soprattutto per la gente comune, a causa delle violente lotte di potere in campo politico ed economico”. 

E’ quanto riferisce all’Agenzia Fides Rosaline Costa, dell’associazione “Hotline Human Rights Trust”, che monitora il rispetto dei diritti umani nel Paese. 

“Il 2013 è stato un anno caratterizzato da incertezza sociale e politica, da pericoli e forte violenza”. Grave, inoltre, il problema dello sfruttamento del lavoro, che chiama in causa anche grandi multinazionali occidentali: “Ci sono oltre 2,8 milioni di lavoratori, uomini e donne in circa 5.000 fabbriche” che lavorano con salari molto bassi, ricorda l’attivista per i diritti umani e collaboratrice della Commissione “Giustizia e Pace” dei vescovi del Bangladesh. 

La maggior parte dei proprietari delle fabbriche non permette ai lavoratori di avere un sindacato. A causa della scarse ispezioni – sottolinea Rosaline Costa - si verificano incendi devastanti e mortali. Nel 2013 oltre 100 persone sono rimaste soffocate o arse vive. Inoltre il crollo di un edificio di nove piani, il 24 aprile 2013, ha provocato la morte di 1.113 lavoratori

Durante il 2013, oltre 100 persone sono poi rimaste uccise in seguito a violenze innescate da motivi politici. L’associazione “Hotline Human Rights Trust”, conclude Costa, “ha fatto e continuerà a fare il possibile per aiutare le vittime di abusi dei diritti umani, riconoscendo e denunciando le principali ingiustizie, creando consapevolezza sui problemi sociali, ricercando soluzioni pacifiche ai conflitti familiari e locali”. (A.L.)

Sud Sudan, l’orrore delle fosse comuni - All’Onu risoluzione per inviare altri 5.500 caschi blu

La Stampa
Nella roccaforte dei ribelli centinaia di persone uccise e una buca con 34 corpi
Kerry: fermare la guerra. All’Onu risoluzione per inviare altri 5.500 caschi blu

Una fossa comune con 34 corpi e centinaia di persone massacrate, secondo testimoni, in una stazione della polizia. La situazione in Sud Sudan peggiora con il passare delle ore, con 45.000 rifugiati civili nelle basi dell’Onu.

Il segretario di Stato americano, John Kerry, chiede la fine delle ostilità e l’avvio di trattative fra l’ex vice presidente sudsudanese, Riek Machar, e il presidente Salva Kiir. La Nazioni Unite continuano a monitorare la situazione - l’alto commissario per i diritti umani Pillay ha denunciato la scoperta della fossa comune di Bentiu, mentre altre sarebbero state trovate a Juba - e si apprestano a votare una risoluzione che autorizza il rinforzo di 5.500 uomini della missione di pace nel paese. L’Onu ha già 7.000 fra uomini della missione di pace e poliziotti in Sud Sudan.

«Il futuro del Sud Sudan è in pericolo e in questo momento c’è bisogno di una leadership forte. I leader del Sud Sudan si trovano a fronteggiare una difficile scelta: possono tornare a dialogare o distruggere i progressi ottenuti» afferma l’ambasciatore americano all’Onu, Samantha Power. 

Gli Stati Uniti hanno inviato 150 marine e alcuni aerei in una delle basi nel corno d’Africa nel caso in cui fossero necessari. Una decisione che mostra i timori per i civili americani che restano nel paese. 

Circa 380 americani sono stati evacuati dal Sud Sudan negli ultimi giorni ma, secondo indiscrezioni, altri 200 civili sarebbero ancora nel paese. Gli Stati Uniti hanno contatti con i principali attori sulla scena politica del Sud Sudan e stanno cercando di fare pressione per una soluzione di pace. 

Gli Usa, infatti, hanno giocato un ruolo diretto nell’indipendenza del Sud Sudan con il consigliere per la sicurezza nazionale del presidente americano Barack Obama, Susan Rice, che ha partecipato nel 2011 a una cerimonia a Juba per celebrare l’indipendenza nel Paese.

Diritti umani. Legge dell’Uganda che prevede la condanna dell'omosessualità all'ergastolo

www.informazione.itUn altro paese che viola apertamente i diritti umani. Lo “Sportello dei Diritti”: intervenga governo ed UE.

Se n’è parlato tanto in questi giorni senza che però alcuna istituzione nazionale o internazionale, ed anche l’Italia, prendesse apertamente posizione anche se si tratta di un’aperta violazione di diritti umani, ma la nuova normativa ugandesse che prevede l’ergastolo per alcuni reati connessi all’omosessualità, e che è passata alla votazione della maggioranza del parlamento del paese africano, è una legge liberticida che dovrebbe essere immediatamente censurata a livello internazionale.

Lo sostiene Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, associazione da anni impegnata anche nella difesa dei diritti umani e contro ogni forma d’intolleranza.
Basti pensare che la bozza del disegno di legge, aveva previsto già sanzioni severissime come la condanna a morte per aver commesso atti di "omosessualità aggravata". Le ipotesi previste avevano incluso lo stupro omosessuale, gli atti omosessuali con minori e portatori di handicap o in caso di sieropositivà occultata, anche se la pena di morte è stata poi depennata in tutti questi casi.
L'omosessualità era già ritenuta un crimine in Uganda, ma la nuova legge inasprisce le sanzioni per la comunità gay che, nei fatti, sarà costretta a fuggire dallo stato in questione se vorrà continuare a vivere.
Attualmente, molti paesi africani considerano l'omosessualità illegale, e le autorità, come nei casi diUganda e Zimbabwe, hanno fatto dichiarazioni in termini aggressivi nei confronti di questi gruppi.
È giunta l’ora che queste farneticazioni tradottesi in veri e propri strumenti di repressione legalizzati in mano ai poteri nazionali vengano espressamente sanzionate dalla comunità internazionale per espressa violazione dei diritti umani quale forma di discriminazione di gruppi di cittadini.
Per tali ragioni, lo “Sportello dei Diritti” chiede un intervento del governo e della Commissione Europea affinché attuino ogni iniziativa utile per impedire questa aperta violazione dei diritti dell’uomo.

mercoledì 25 dicembre 2013

Siria: la Maalula che non c'e' piu', il Natale dei rifugiati cristiani

ASCA
Roma,  Il 4 settembre un attentatore suicida di origine giordana e' esploso nei pressi di un checkpoint dell'esercito siriano aprendo la strada all'invasione jihadista di Maalula. Da allora, uno dei luoghi piu' cari ai cristiani della Siria e di tutto il Medio Oriente, e' diventato terreno di conquista di Al Qaeda e teatro di controffensive scagliate dalle forze filogovernative. 

La cittadina, edificata a 1.500 metri sulle montagne a Nord-est di Damasco e dove parte della popolazione locale parla ancora l'aramaico, la lingua di Gesu', domina la principale via di comunicazione tra la capitale e Homs, e dista pochi chilometri dal confine con il Libano. 

Li' si trovano il Santuario di Sergio e Bacco (tenuto da sacerdoti greco-melkiti) e quello di Santa Tecla, sorto intorno alla grotta santa dove secondo la tradizione locale la discepola di san Paolo passava la sua vita di ascesi e preghiera curando i malati con l'acqua di una sorgente miracolosa. 

Proprio a Santa Tecla, nei primi di dicembre, 12 suore sono state prese in ostaggio da una milizia islamiste. 

Oggi, nel giorno della vigilia di Natale, Maalula e' in gran parte un cumulo di macerie. Centinaia di famiglie sono state costrette a fuggire dalle loro abitazioni, per un bilancio che registra 1.200 cristiani uccisi e altri 450.000 sfollati. Cifre allarmanti, se si considera che la comunita' cristiana rappresenta solo il 5% della popolazione siriana. 

Un totale di 60 chiese sono state distrutte da fanatici islamisti sostenuti da cellule qaediste: e' il caso del Fronte al Nusra e dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante, entrambe - capaci di raccogliere circa 35 mila combattenti - inserite nella black list americana delle organizzazioni terroristiche. 

Il caso del rapimento di padre Dall'Oglio, il gesuita italiano sequestrato il 29 luglio scorso e di cui si sono perse le tracce, e' senza ombra di dubbio il segno piu' tangibile di una crisi giunta ormai al suo punto di non ritorno, in cui la comunita' cristiana ha finora assistito passivamente. ''Il piu' bel regalo che potrei ricevere per Natale sarebbe quello di tornare a Maalula'', dice Hneineh Taalab, a cui i jihadisti hanno ucciso il fratello e il cugino, rei di non volersi convertire alla religione islamica. 

Oggi l'esercito lealista ha ripreso parzialmente il controllo della cittadina. Il Patriarca Gregorio III Laham si riunisce regolarmente con centinaia di rifugiati in una chiesa buia e fatiscente di Damasco e prega ''per il ritorno dell'amore e della speranza''. 

''Piange coloro che sono stati uccisi'', spiega qualche residente. ''E' terribile. Siamo tutti in pericolo, i cristiani ma anche i musulmani'', afferma Laham. In questa vigilia, i pensieri vanno alla Maalula di prima, quando il Natale riusciva a raccogliere tutto il suo splendore storico. Luci, addobbi e ghirlande. Quest'anno, invece, non ci sara' alcun albero o presepe. ''Siamo rifugiati, ora - racconta un altro cristiano, Najar Fadel - siamo solo dei rifugiati''. rba/uda

Massacre, viols et exécutions au Soudan du Sud (témoins)

L'Orient Le Jour
Des soldats du Soudan du Sud ont commis une série de meurtres ethniques dont un massacre, des exécutions et des viols après des combats il y a plus d'une semaine, ont rapporté lundi à l'AFP des témoins.
Deux témoins ont affirmé avoir été arrêtés parmi quelque 250 hommes par des soldats du gouvernement puis conduit dans un poste de police de la capitale Juba où un massacre a eu lieu auquel seules douze personnes ont survécu.
Les deux témoins, qui ont été blessés, ont réussi à s'enfuir et ont trouvé refuge dans une base des Nations unies à Juba. Selon eux, seuls douze hommes ont survécu au massacre.
Les témoignages de plusieurs autres personnes ont également décrit des actes de violence ethniques accompagnés de meurtres et de viols commis depuis le 15 décembre.

Des affrontements dans cette nation la plus jeune du monde opposent depuis le 15 décembre les troupes fidèles au président Salva Kiir à celles de son rival Riek Machar, l'ancien vice-président éjecté en juillet.

Salva Kiir accuse Riek Machar de coup d'Etat alors que ce dernier reproche au président d'exploiter les tensions avec l'armée pour effectuer une épuration ethnique. Les rebelles de Machar se sont d'ores et déjà emparés de quelques sites au nord de Juba où des crimes ethniques ont été perpétrés.

martedì 24 dicembre 2013

Immigrazione: Medici diritti umani, Cie inutili e incivili

ANSA
I Cie sono luoghi generatori di violenza, non garantiscono in alcun modo i diritti umani delle persone trattenute e si sono dimostrati fallimentari nel contrasto dell'immigrazione irregolare: solo l'1% dei migranti irregolari viene infatti effettivamente rimpatriato attraverso il sistema della detenzione amministrativa e nel 2013 è probabile che questa percentuale si abbasserà ulteriormente. I Cie sono, in due parole, inutili e incivili. E' quanto afferma in una nota "Medici per i diritti umani" (Medu).
CIE di Torino
I recenti episodi di cronaca secondo Medu "dimostrano una volta ancora la necessità di riformare radicalmente - e da subito - un sistema di gestione dell'immigrazione incompatibile con quei diritti fondamentali che uno stato di diritto deve sempre garantire". "Le situazioni inumane e degradanti all'interno di queste strutture non sono episodi sporadici, comunque inaccettabili, ma pratiche e condizioni oggettive frequenti e perduranti" affermano.

Nel Cie di Torino, secondo quanto rilevato direttamente da Medici per i Diritti Umani, gli episodi di autolesionismo messi in atto dai migranti trattenuti nel corso del 2011 sono stati 157, vale a dire un episodio ogni 56 ore.

Il drammatico disagio nei centri non riguarda del resto solo i migranti, precisa Medu: le condizioni di lavoro degli operatori degli enti, per lo più privati, che amministrano i centri e degli agenti di pubblica sicurezza sono assai critiche. E l'introduzione dei bandi di gara al massimo ribasso sembra aver avuto l'effetto di un detonatore. Dal 2012, sottolineano, il governo ha infatti adottato come unico criterio per l'assegnazione della gestione dei centri quello dell'offerta economica minima, a prescindere dalla qualità dei beni e dei servizi garantiti, determinando un ulteriore scadimento delle strutture e dei servizi e un aumento delle rivolte e delle proteste da parte dei trattenuti.

Medu torna dunque a chiedere la chiusura di tutti i Cie.

Egitto: 450 detenuti in sciopero della fame contro "trattamento disumano" cui sono sottoposti

Ansa

Più di 450 membri detenuti della Fratellanza musulmani d'Egitto, tra cui ci sono alcuni stretti collaboratori del presidente deposto, Morsi, hanno iniziato uno sciopero della fame in segno di protesta contro la loro prigionia e contro il "trattamento disumano" a cui sono sottoposti. 

Secondo la fonte della notizia, non è permesso ricevere "visite familiari, assistenza legale, cure mediche e le celle sono sovraffollate".

lunedì 23 dicembre 2013

Centrafrica - Bangui, soldati ciadiani aprono il fuoco sui manifestanti

MISNA
“La gente è chiusa in casa, qualcuno esce giusto per reperire le provviste necessarie, quello che si trova in giro nei pochi negozi aperti. Le strade sono deserte, l’unico rumore costante è quello degli elicotteri militari che sorvolano la città”: lo racconta alla MISNA padre Dieu-Beni Mbanga, cancelliere dell’arcidiocesi di Bangui. Qui, stamattina militari ciadiani della forza africana in Centrafrica (Misca) hanno aperto il fuoco questa mattina contro manifestanti che protestavano nei pressi dell’aeroporto, uccidendo una persona.

Secondo i i mezzi di informazione locali, una piccola folla di civili, per lo più cristiani, si erano radunati intorno all’ingresso dello scalo internazionale per chiedere le dimissioni del presidente Michel Djotodia e il ritiro delle truppe ciadiane.

Alcuni mostravano dei cartelloni su cui era scritto “Sì all’operazione Sangaris (delle truppe francesi, ndr) no ai soldati ciadiani” che in molti sospettano di complicità con gli ex ribelli della Seleka, autori del colpo di stato che in marzo ha portato Djotodia al potere. Dopo i tafferugli, degenerati con il ricorso alle armi da parte dei militari di N’djamena, soldati francesi sono intervenuti per sedare la folla e disperdere l’assembramento.

La situazione è molto tesa, anche ieri c’è stata una manifestazione, di segno opposto contro l’intervento francese, scaturita dal decesso di tre elementi della Seleka durante un’operazione di disarmo” racconta ancora il religioso.

Nel resto della capitale, in cui è in vigore un coprifuoco dalle 18 alle sei del mattino, non sono segnalati altri incidenti anche se le tensioni intercomunitarie, sfociate in scontri a intermittenza in diversi quartieri, restano vive e la situazione è estremamente volatile.

[AdL]

Denuncia Acnur: mai tanti rifugiati da decenni, gravissima situazione in Siria

Radio Vaticana
Un rapporto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Acnur) pubblicato ieri, mostra come il 2013 sia uno degli anni con i più alti livelli di migrazioni forzate mai visti dall’Agenzia, in virtù del numero eccezionale di nuovi rifugiati e sfollati. 

Il rapporto – informa un comunicato Acnur – parla di 5,9 milioni di persone costrette a fuggire dalle proprie case nei primi sei mesi dell’anno, rispetto ai 7,6 milioni totali del 2012. Il Paese che contribuisce maggiormente a questi nuovi esodi è la Siria. 

Il rapporto Mid-Year Trends 2013 dell’Acnur si basa principalmente sui dati forniti dai più di 120 uffici nazionali dell’Agenzia e mostra un netto incremento di diversi indicatori importanti. Tra questi il numero di nuovi rifugiati: 1,5 milioni di persone nei primi sei mesi del 2013, rispetto agli 1,1 milioni di persone registrate nell’intero 2012. 

Un altro indicatore è quello del numero di nuove persone sfollate all’interno dei propri Paesi – 4 milioni di persone rispetto ai 6.5 milioni del 2012. Il rapporto descrive la prima metà del 2013 come “uno dei periodi peggiori da decenni per quanto riguarda le migrazioni forzate”. “È difficile vedere numeri simili e non chiedersi come mai oggi così tante persone diventano rifugiati o sfollati”, ha affermato António Guterres, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati. “L’assistenza delle organizzazioni umanitarie contribuisce a salvare vite umane, ma non siamo in grado di impedire le guerre o di fermarle. Ciò richiede sforzo e volontà politica, e questo è il piano su cui è necessario che si concentri maggiormente lo sforzo di concertazione internazionale”. Complessivamente, le migrazioni forzate – 45,2 milioni alla fine del 2012 – hanno già toccato i livelli più alti dai primi anni ’90, soprattutto a causa della proliferazione di nuovi conflitti. (A.G.)

domenica 22 dicembre 2013

Sud Sudan tra violenze ed emergenza umanitaria

Lettera 43
Scontri fra etnie. Lotta per il potere. Attaccata pure l'Onu. Il Paese sull'orlo di una nuova guerra civile.

Civili scappati dalle violenze cercano rifugio
nella base della missione Onu (Unmiss) a Bor.
Soldati che entrano nelle case e sparano a vista. Cadaveri per le strade. Un conflitto sempre più incontrollabile.
Sta precipitando in una nuova guerra civile il Sud Sudan, lo Stato nato nel 2011 dopo 20 anni di scontri col Sudan, da cui è diventato indipendente.
Dal 15 dicembre sono scoppiate sanguinose violenze interetniche che hanno provocato almeno 500 vittime, a cui si aggiunge una battaglia per il potere con al centro i giacimenti di petrolio del Paese.


ATTACCO ALL'ONU. Oltre alla capitale Juba, anche nella cittadina di Bor, più a Nord, la tensione resta alta: il 19 dicembre alcuni appartenenti all'etnia Nuer hanno attaccato una base dell'Onu dove si erano rifugiati circa 20 mila civili in fuga dagli scontri. Nell'attentato sono rimasti uccisi due caschi blu indiani e un altro è stato ferito gravemente.
Secondo quanto denunciato da Human Rights Watch, in precedenza i soldati sud-sudanesi di etnia Dinka, fedeli al presidente Salva Kiir, avevano ucciso indiscriminatamente decine di civili Nuer a Juba.

ASSISTENZA ALIMENTARE AI RIFUGIATI. «La situazione è critica, soprattutto nello Stato del Jonglei», ha spiegato a Lettera43.it Vichi De Marchi, portavoce per l'Italia del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Wfp).
«È in corso l'organizzazione dell'assistenza alimentare ai rifugiati nei compound dell'Onu», attraverso voli di servizio umanitario del Wfp. «Vengono inviati riso, farina, legumi, zucchero e olio», ha aggiunto De Marchi. «Per le donne incinte e i bambini sono invece previsti cibi ad alto contenuto energetico».
Ma non si sa fino a quando possano bastare questi aiuti, nel caso in cui il conflitto degenerasse.
Gli scontri sono il risultati delle tensioni fra il presidente Kiir, di etnia Dinka, e l'ex presidente Riek Machar, di etnia Nuer.
Già il 15 dicembre è stato sventato un golpe quando un gruppo armato ha tentato di occupare il ministero della Difesa.
Oltre a Juba, il conflitto si sta allargando in altre zone del Paese e per questo le violenze della capitale «possono essere solo la punta dell'iceberg», ha detto Daniel Bekele, direttore di Human Rights Watch in Africa.
ITALIANI TORNATI A CASA. Intanto i civili stranieri, in maggioranza operatori umanitari, sono stati fatti tornare a casa. Il 20 dicembre sono arrivati a Ciampino, con un aereo da trasporto KC 767 dell'Aeronautica Militare proveniente da Gibuti, i 34 italiani evacuati dal Sud Sudan. Con loro c'erano anche 29 civili europei. Tutti sull'aereo hanno ricevuto assistenza dal team dell'Unità di crisi della Farnesina che si era recato nel Paese africano per organizzare l'operazione.

MISSIONE DI PACE. Gli Stati Uniti hanno schierato circa 45 soldati nel Sud Sudan per garantire la sicurezza ai propri cittadini residenti nel Paese.
Una missione per iniziare trattative di pace in Sud Sudan è stata inviata dall'Unione Africana e dall'Igad (Autorità intergovernativa per lo Sviluppo) con rappresentanti di Etiopia, Kenya, Uganda e il sostegno del Ruanda. Ma ogni minuto che passa, la situazione è sempre più fuori controllo.

Nicaragua: un dialogo nazionale per trovare soluzioni al grave problema delle carceri

Agenzia Fides
Di fronte al sovraffollamento, alle condizioni di degrado nelle carceri del paese e ai casi di abusi nelle carceri di Juigalpa, il Vescovo di Juigalpa (zona di San Juan e Rio Chontales), Sua Ecc. Mons. René Sócrates Sándigo Jirón, ha suggerito al Ministro del governo Ana Isabel Morales, di promuovere un dialogo nazionale per affrontare la questione, al fine di unire gli sforzi nella ricerca di soluzioni adeguate.
In una nota pervenuta all'Agenzia Fides da una fonte locale, si legge: "Le carceri sono una bomba a orologeria, e malgrado questo, la Chiesa cattolica, nel corso degli anni ha sempre dato il proprio sostegno per risolvere le esigenze dei detenuti". Mons. Sándigo Jirón aggiunge: "prima c'era una maggiore disponibilità dei fedeli per questo tipo di impegno e di aiuto. Oggi il canale di accesso ha molti ostacoli e questo ha fatto sì che molti volontari non abbiano lo stesso entusiasmo, siano delusi e quindi calano gli aiuti".

Il Vescovo insiste sulla necessità di "aprirsi al dialogo, alla ricerca di una soluzione. Oggi dobbiamo ringraziare le informazioni che vengono dall'interno, perché c'è un giornalismo investigativo, che mette in evidenza tali situazioni". Infine ha ricordato che la Chiesa ha una vasta preoccupazione pastorale per tutta la popolazione, ma la pastorale nelle carceri è una di quelle più importanti.

In Nicaragua la Chiesa cattolica, con i suoi operatori pastorali, è presente da sempre nelle carceri, non solo per l'assistenza ai detenuti ma anche nella difesa dei loro diritti. Dalle notizie raccolte da Fides, la situazione nelle carceri è tremenda: nelle celle costruite per 5 o 7 persone ce ne sono 40. I detenuti devono addirittura dormire a turno perché non c'è posto se non in piedi (a Rivas)

Ci sono luoghi come Juigalpa, Granada, Chinandega, Tipitapa e Jinotega dove la popolazione delle carceri è di molto sopra la media. Sembra che solo nella capitale la situazione sia sotto controllo.

Pena di morte: negli Usa esecuzioni ancora in calo, 39 nel 2013 (98 nel 1999)

AFP
Si riducono le esecuzioni capitali negli Stati Uniti. Secondo il rapporto annuale del Death Penalty Information Center, nel 2013 in Usa sono state effettuate 39 esecuzioni capitali, 5 in meno dello scorso anno. 

Il numero di persone condannate a pena capitale negli States e' comunque in calo costante dal 1999, quando furono giustiziate 98 persone. L'ultima esecuzione nel 2013 e' avvenuta qualche giorno fa in Oklahoma. 

Finora, complessivamente, quest'anno sono state condannate a morte 80 persone, decisamente meno delle 315 sentenze comminate nel 1994 e nel 1996, anni del picco maggiore.

Perù: alla religiosa impegnata con le donne dell’Amazzonia, il premio dei Diritti umani

Radio vaticana
Suor María del Carmen Gomez Calleja, della Congregazione di San Giuseppe, ha ricevuto il Premio nazionale dei Diritti Umani 2013, mentre il sacerdote Gerald Veilleux è stato nominato per il Premio Speciale assegnato ogni anno dalla Commissione nazionale dei Diritti umani del Perù. 

I premi - riferisce l'agenzia Fides - sono stati consegnati in occasione della Giornata Universale dei Diritti Umani, come atto di riconoscimento per coloro che svolgono un duro lavoro nella difesa dei diritti fondamentali in Perù. 

La missionaria spagnola lavora nel vicariato di San Francisco, a Bagua, nella foresta nord del Perù. La nota inviata all’agenzia Fides riferisce che suor Maricarmen si è rifiutata di firmare un rapporto ufficiale che presentava delle irregolarità sul conflitto sociale in Bagua; ancora oggi lei continua a lavorare per chiarire gli eventi e le responsabilità politiche che hanno dato origine al tragico conflitto soprannominato "Baguazo" in cui morirono una trentina di persone. 

Da 45 anni la Congregazione di S. Giuseppe accompagna i popoli indigeni dell'Amazzonia peruviana, a Bagua, e da allora è impegnata nella promozione delle donne indigene Awajun. 

Suor Maria del Carmen lavora in questa regione da sei anni, e ritiene che la sua esperienza "faccia parte di questa bella storia, in cui la donna Awajún che presenta alcune caratteristiche tipiche della cultura del popolo indigeno amazzonico, è oggi una donna istruita. Le donne insegnanti del nostro centro educativo sono state prima studenti in questo luogo, e quindi il contatto con questa cultura è parte di questo popolo".

Amnesty e HRW denunciano i crimini nella Repubblica Centrafricana

Il Referendum
Amnesty International e Human Rights Watch hanno reso noti ieri i risultati delle loro ricerche effettuate nella Repubblica Centrafricana, nazione martoriata dalla guerra civile, dimostrando che nel Paese si stanno compiendo crimini di guerra e contro l’umanità.
Secondo il rapporto di Amnesty, le violenze provengono sia dalla milizia di matrice cristiana, sia da quella musulmana, che si stanno affrontando ormai da molti mesi. Entrambe sono autrici di efferati delitti quali esecuzioni extragiudiziali, mutilazioni di corpi, distruzioni intenzionali di edifici religiosi e evacuazioni forzate di un massiccio numero di persone.

«La nostra approfondita ricerca sul campo nella Repubblica Centrafricana durante le ultime due settimane non lascia spazio a dubbi sul fatto che crimini di guerra e contro l’umanità siano stati commessi da tutte le parti in conflitto», ha infatti dichiarato Christian Mukosa, l’esperto di Amnesty International appena ritornato da Bangui, la capitale del Paese africano.

La ricerca di Amnesty, condotta da tre incaricati, è partita il 5 dicembre scorso, quando le violenze sono cominciate anche a Bangui, per mano delle milizie cristiane, le cosiddette anti-balaka, il cui unico obiettivo è quello di cacciare dal Paese il leader della coalizione Seleka, Michel Djotodia, il primo musulmano alla guida della Repubblica Centrafricana. Dal canto loro, le forze governative, denominate ex-seleka, hanno ucciso circa 1000 persone in soli due giorni nella capitale, per vendicare gli attacchi subiti.

«Non può esserci la prospettiva di porre fine al ciclo di violenze finché le milizie non saranno disarmate e non ci sarà un’appropriata ed efficace protezione per le migliaia di civili a rischio nel Paese», ha continuato poi Christian Mukosa. Amnesty infatti chiede con urgenza il dispiegamento di una robusta forza di peacekeeping, dotata di un chiaro mandato e di risorse sufficienti per poterlo portare a termine in maniera efficace.

Anche un’altra organizzazione non governativa, Human Rights Watching, ha pubblicato ieri i risultati diuna ricerca condotta, invece, nella provincia dell’Ouham, una zona nel nord del Paese. «I brutali assassinii nella Repubblica Centrafricana stanno creando una spirale di omicidi e rappresaglie che rischia di andare fuori controllo», ha dichiarato Peter Bouckaert, direttore delle emergenze presso Human Rights Watching e autore del report. HRW ha evidenziato soprattutto la pericolosa escalation di violenza settaria.

Le due indagini hanno avuto, quindi, risultati molto simili ed entrambe le associazioni chiedono a gran voce l’invio di ulteriori truppe, a supporto di quelle francesi e dell’Unione Africana già presenti sul territorio, per risolvere la situazione.

Amnesty, inoltre, si appella alle Nazioni Unite, affinché accelerino il progetto di nominare una commissione d’inchiesta per investigare sui crimini di guerra e contro l’umanità in corso e, in generale, sulle numerose violazioni dei diritti umani commesse in Repubblica Centrafricana.

di Maria Pornaro

sabato 21 dicembre 2013

Protesta in Cie Roma, quattro immigrati si cuciono bocca

ANSA
I magrebini protestavano contro il protrarsi della permanenza nel centro di accoglienza
Protesta choc al Centro di accoglienza immigrati di Ponte Galeria a Roma: quattro magrebini, ospiti della struttura, si sono cuciti la bocca per protestare contro il protrarsi della permanenza nel centro. I quattro africani, subito soccorsi dagli agenti e assistiti da un medico, si erano cuciti la bocca in alcuni punti, questa mattina, con ago e filo. Al momento non si sono registrate altre situazioni di tensione all'interno del centro.

Uno dei quatto magrebini, che ha inscenato la protesta cucendosi la bocca, avrebbe dovuto lasciare la struttura lunedì prossimo per essere rimpatriato nel suo paese. Dei quattro africani, due hanno circa vent'anni e sono ospiti del centro da poco, gli altri due hanno oltre trent'anni.

Si sono cuciti la bocca in un punto laterale con una sorta di ago ricavato dalla graffetta di un accendino e hanno utilizzato il filo di una coperta, i quattro africani che questa mattina hanno inscenato la protesta nel centro di accoglienza per immigrati di Ponte Galeria a Roma. I magrebini, che protestano contro la loro permanenza nella struttura, sono assistiti dai medici.

Nel Centro di accoglienza per immigrati di Ponte Galeria a Roma ci sono un centinaio di persone. Il settore maschile è quello più numeroso e accoglie 70 uomini, l'altro settore, quello femminile, è meno saturo e ospita una trentina di donne.

Marino, luoghi disumani - "La loro protesta ci impone con forza di riaprire il dibattito nazionale su questi luoghi disumani e su una legge, la Bossi-Fini, che equipara a criminali chi fugge da guerre, violenze e povertà. Non possiamo, e non vogliamo abituarci alle tragedie. Dobbiamo, al contrario, impegnarci tutti contro l'indifferenza". Così il sindaco di Roma, Ignazio Marino, commenta su Facebook quanto accaduto al Cie di Ponte Galeria dove quattro immigrati si sono cuciti la bocca con ago e filo per protestare contro il protrarsi della permanenza nel centro.